A letto con il prete
Guardate questo bellissimo quadro di Van Eyck: siamo in una camera da letto di Bruges, intorno al 1430. L’uomo che vedete non è il prete, ma il gentiluomo Giovanni Arnolfini. Accanto a lui c’è sua moglie Costanza Trenta.
Non so se usava a Bruges, ma almeno a Lucca, sua moglie è andata a letto con il prete; ed anche lui. Quando? Di certo, sul finire di gennaio, per i “giorni della merla”, quando faceva un freddo boia.
Ci volevano anche quelli, perché la campagna ha bisogno di tutto: di acqua, di neve, di gelo, di sole, di vento, ma tutto in modo misurato. Quando l’acqua viene giù “a brocche” e per ore, quando il gelo resiste sulle piante, è una rovina per il contadino che vede sfumare il frutto di tante fatiche e tante speranze.
Sul finire di gennaio, si doveva fare i conti con i “giorni della merla”: da secoli si era a conoscenza che quei giorni sarebbero stati i più freddi dell’anno e si affrontavano quindi con grande rassegnazione. Si trattava, in fondo, di tre giorni, il 29, il 30 ed il 31 di gennaio. C’era anche una storiella connessa al gran gelo e che spiegava perché i merli fossero di colore nero.
Anticamente erano bianchi e accadde che una merla impertinente, si mise a prendere in giro Gennaio che quell’anno era stato particolarmente mite, tanto è vero che erano spuntate violette e margherite da per tutto. Gennaio non sopportando di essere degradato a mese qualunque, per non rischiare di perdere la sua reputazione di mese rigido, si rivolse a Febbraio che allora aveva trentuno giorni, e gliene chiese tre in prestito (peraltro mai restituiti!).
Li adoperò, dando libero sfogo alla peggior parte di sé, scatenando venti, tempeste di neve e gelo, così quella povera merla per sopravvivere, dovette riparare nella gola di un camino, diventando tutta nera per il fumo. Tanto ne fu impregnata che dopo di lei tutti i merli nacquero e continuano a nascere neri come la fuliggine.
Questa è la storia che si raccontava a Porcari e in genere, in tutta la Lucchesia con piccole varianti.
E siccome in quelle sere non c’erano termosifoni come oggi, ed altre forme di riscaldamento se non il fuoco, si andava a letto con il “prete”. Questo era un attrezzo in legno a forma di cupola, all’interno della quale si collocava uno scaldino di carbone acceso, che si metteva sotto le lenzuola prima di entrare nel letto. Insomma, una sorta di scalda sonno che non poteva mancare in nessuna delle case di allora.
Il quadro “I coniugi Arnolfini” è di Ian Van Eyck, 1434. Si trova a Londra nella National Gallery.
4 Commenti. Nuovo commento
Mi scuso ,ma la moglie dell’Arnolfini rappresentata nel quadro non è una Trenta , bensì una Cenami . Così dalle mie fonti .Saluti
Giovanna Cenami fui la seconda moglie di Luca Giovanni Arnolfini, sposata nel 1447. Il quadro fu completato nel 1434, pochi mesi dopo la morte della prima moglie Costanza Trenta, che l’Arnolfini aveva sposato nel 1426. Questo è quanto risulta a me. Comunque la ringrazio per l’intervento.
Non solo non c’era il termosifone, ma le case (la maggior parte) non erano coibentate come oggi ,le finestre ,senza persiane ,avevano soltanto uno “scuro” che proteggeva dalla luce e dal (si fa per dire) freddo .Le stanze avevano solai fatti soltanto con uno strato di mattoni (o pianelle) tenute dai “travicelli” di castagno .Le tramontane fischiavano dagli spifferi delle porte e delle finestre e congelavano ancor più l’aria delle stanze. Anche i letti erano capolavori di freddo e di gelo :il materasso ,di solito, era imbottito con foglie secche delle pannocchie di granturco “scornocchiate” il precedente settembre-ottobre; quando andava meglio i materassi erano imbottiti di crine .Questi materiali ,freschi e confortevoli d’estate con la calura ,di gennaio ,febbraio ,insomma nell’inverno, erano tremendamente freddi ,non solo ma anche ricettacoli di umidità che accentuavano la sensazione glaciale .E allora in queste condizioni il “prete” diveniva ,specie per il bambini ,una imprescindibile necessità non solo per non prendere malattie, ma anche per potersi addormentare .C’era tutta una serie di “succedanei “al prete atti a contrastare l’impatto gelido delle coltri: la borsa dell’acqua calda, le bottiglie di acqua bollente rivestite con un calzerotto di lana per non scottarsi ,il mattone arroventato al fuoco e avvolto in un panno .Mio padre aveva fatto fare quattro bottiglie di ottone ,una per ogni componente della famiglia, con quattro grossi bossoli di proiettile di cannone ,residuo dell’ultima guerra che, debitamente fasciati in panni di lana ,non solo stiepidivano le coltri eliminando il terribile primo impatto di gelo al momento di introdursi nelle lenzuola, ma conservavano un delizioso tepore fino alla mattina.
Non c’è che dire l’escursione termica ,dal caldo torrido d’estate, al freddo intenso e penetrante d’inverno ,era un grande fattore di selezione darwiniana dalla quale se ne usciva o forti e temperati o si soccombeva ,ma questo era tranquillamente accettato ,rientrando nella” natura delle cose”.
N.B .Queste note si riferiscono soprattutto alla realtà contadina dei ns .paesi e campagne. In città ,almeno per i ceti medio- alti, era tutta un’altra condizione.
Ti ringrazio per questi tuoi interventi che integrano egregiamente ciò che io scrivo.