Abbasso gli ospedali
La fiducia nei medici e nelle medicine, agli inizi del secolo scorso, era pressoché nulla. Prima si sperimentavano, come testimonia il nostro poeta Gino Custer De Nobili, i rimedi proposti dalla tradizione:
«gruma di pippa, imparpi coll’ortia, léssora, sciungia …»
e se poi non si vedeva risultato, ci si rivolgeva al medico. Ma ci si andava con i piedi di piombo:
Alla fin fin, po’ ho ditto: Ma ch’i’ accéi,
o che ’un ci ha a esse, ir can che mi guardisci?
E allòra son vienuto ’ui da léi …
Quando il medico prescriveva un farmaco da acquistare in farmacia, il primo a non aver fiducia sui risultati era proprio lui:
«prendi una di queste pillole e se per caso, domattina tu fossi ancora vivo, ne puoi prendere una seconda, e la terza, dopo cena».
L’ospedale poi era visto come una sorta di anticamera dell’obitorio e quindi: abbasso gli ospedali! Scriveva ancora il nostro poeta, interpretando il comune sentire:
È che ’un eglie, lo ’hiappa un morbo nero …
Ma sarébbe ’uarito!…
Tutto ’r male lo fen la mi’ sorella e ir si’ Ruggèro
a vulello mena’ ndello spidale …
All’ospedale, nei primi anni del 1800, andavano a finire i miserabili che, se capaci di intendere e di volere, ne dovevano provare vergogna. Troviamo conferma di ciò nello statuto che regolava “l’Uffizio di Beneficenza», fondato a Lucca dalla principessa Elisa Baciocchi. Tale istituzione aveva il compito di venire in soccorso ai poveri. Si occupava anche degli infermi , « pei quali sarebbe stato troppo umiliante essere trasportati all’Ospedale »
Le cure erano quelle che solitamente venivano prescritte anche a casa: salassi, clisteri, o ‘lavativi’, cataplasmi, ovvero ‘impiastri’. In aggiunta, in ospedale si prescriveva una dieta ferrea che sembrava studiata apposta, per facilitare il trapasso.
Lu’ che a casa are’ mangio anco nder gitto,
trovassi ’a succhia’ un osso di gallina,
chiede pan e sentissi di’ «sta sitto!»
si logró tanto che perdette ’r sonno,
ni si spartitte ir fele e una mattina
le gran bilie ’n sur petto lo strossonno!
A meno che non ci si volesse sbarazzare dell’infermo, conveniva lasciarlo a casa e ricorrere a quei rimedi forniti dalla provvida Natura, che, in alcuni casi, avevano prodotto guarigioni inaspettate. Ci vorrebbe di dedicare un libro intero per parlarne, ma qui dovrò limitarmi ad elencarne due dei tanti, praticati ancora nelle nostre campagne e montagne, salvo ritornare in un secondo tempo, sull’argomento.
Rimedi casalinghi
Ad esempio, per il mal di denti in genere, si usa bollire per circa due minuti, in mezzo bicchiere di aceto, uno o due spicchi d’aglio per fare sciacqui. Se invece il male dipende da un dente cariato, basta mettere nel buco che si è formato un po’ di gruma di pipa e il dolore passa. Per eliminare i porri, basta bagnarli con una goccia di sangue mestruale e ripetere l’applicazione fino a guarigione completa.
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Oltre che bello fa risorgere alla mente ricordi della nostra infanzia . Le donne più anziane erano solite ad andare per campi a raccogliere erbe curative e miracolose .
Non soltanto erano brave nel saper riconoscere e scegliere le erbe curative, ma anche quelle per preparare sfiziose insalate e ripieni per primi piatti.
Sono di otto anni più anziano di Lei e la vita mi ha portato a Roma per più di 50 anni. Sono sempre tornato a Lucca molto spesso fino a quando c’erano i genitori ed in una di queste visite ho comprato il suo libro “Espressioni……..” . Come in molte città del mondo anche a Roma esisteva un animato Circolo dove una volta al mese almeno si riunivano i Lucchesi. Per la cronaca era in una saletta di un ristorante di un lucchese di Altopascio in un vicolo vicino alla Piazza del Pantheon. Portai il suo libro alla riunione mensile ed ebbe molto successo tanto tutti lo volevano in prestito da me.Proposi che , se volevano avrei potuto comprarne delle copie la prima volta che andavo a Lucca (a Roma non esisteva). Non avevo pensato al braccino corto dei lucchesi ,, e fu deciso che ne venisse comprata una sola copia da far girare a turno. Qualcuno mi risulta che fece fare fotocopie a sbafo. Io ho la copia del 1991 ed anche l’ultima edizione. Per caso ho trovato questo Blog e approfitto per farle i complimenti .Mi scuso per essermi dilungato e prima che il troppo stroppi ,lo saluto. Pier Luigi Redini
Prima di tutto la ringrazio per la sua attenzione, e poi… pare che non ci sia intervento chirurgico o protesi che possa allungare quel braccino corto dei lucchesi. Pensi che sul Vernacoliere di Livorno fu pubblicata fra le Lettere al direttore, quella di un lucchese che diceva presso a poco così: Caro Direttore, adesso è l’ora di farla finita a prendere in giro i lucchesi dicendo che sono tirchi, avari, gretti… non è assolutamente così ed io le garantisco che se continua con questi insulti, io non mio farò più prestare il Vernacoliere!
La saluto, ringraziandola nuovamente e se vuole, la invito a leggere “Gente di corte” e “Come grani di sabbia”. Entrambi i romanzi sono ambientati in Lucchesia ai tempi del doppoguerra. Il primo è stato il libro più premioato del 2019; il secondo, uscito in pieno Covid è in finale in un concorso letterario internazionale. La ringrazio anche per seguire questo blog.