Ahi Pisa vituperio de le genti
Sappiamo che la platea preferita dal “Dante” lucchese, al secolo Ettore Fabbri, era quella costituita dagli studenti universitari di lettere: insomma da coloro, destinati a diventare professori di italiano e quindi ad insegnare la Divina Commedia nelle scuole superiori. E furono proprio questi studenti ad organizzargli uno scherzetto che lo legittimò a sostenere quanto l’Alighieri fosse lungimirante e profondo quando scrisse:
Ahi Pisa, vituperio de le genti
del bel paese là dove ‘l sì suona,
poi che i vicini a te punir son lenti,
muovasi la Capraia e la Gorgona,
e faccian siepe ad Arno in su la foce,
sì ch’elli annieghi in te ogne persona.
Una mattina lo portarono a Pisa con il primo treno, e prima di raggiungere la facoltà, gli fecero il pieno di carburante in due o tre mescite. L’aula era piena di gente, perché all’evento era stata fatta la pubblicità che meritava. In cattedra sedeva un esimio professore, noto cultore di Dante il quale , prima lesse il Canto XXI del Paradiso e poi prese a commentarlo. Fece appena in tempo a dire qualche parola, che il nostro Dante lucchese saltò su, con “occhi di bragia” per dargli del bugiardo e dell’incompetente.
“Tu menti. La tua versione è falsa – gli disse – il divino poeta voleva dire ben altro rispetto a quello che tu intendi…!” Immaginatevi quel professore la cui fama di dantista varcava i confini nazionali, sentirsi apostrofare in quel modo! Rosso in viso, furioso, raccolse le sue cose e guadagnò rapidamente l’uscita.
Finalmente il nostro Dante, rimasto solo, salì in cattedra ed iniziò a spiegare a suo modo il canto XXI. Prima che finisse la lezione, intervenne la Forza Pubblica per prelevarlo e portarlo in galera, dove trascorse l’intera notte maledicendo i pisani e “Pisa, vituperio de le genti”. A Lucca poi, in memoria di quel giorno e notte, dove non poté mangiare e più che altro non poté bere, continuò quella contumelia, fino alla sua morte, avvenuta nel 1935.
Nella foto: Pisa, Palazzo Carovana, sede della “Normale”