Ballo di San Vito e il morso della tarantola
Avere il ballo di San Vito, era sinonimo di “essere indemoniato”, spiritato.
Di solito erano le donne a soffrire di questa patologia che si manifestava con isterismi incontrollabili che scuotevano ed agitavano tutta la persona.
Da qui “ballo” per lo stato di eccitazione, per il moto convulso e disordinato, sintomatico della malattia.
La paziente veniva portata in chiesa e sottoposta ad esorcismo. Le finestre della chiesa venivano spalancate per agevolare l’uscita del diavolo dall’anima della posseduta e dal luogo sacro.
I rimedi utilizzati nel medioevo erano i più disparati. Sentiamo uno dei tanti riportati nella “Favola di Belfagor Arcidiavolo”.
N. Machiavelli: “Né passorno molti giorni, che si sparse per tutto Firenze, come una figliuola di messer Ambruogio Amidei, la quale aveva maritata a Bonaiuto Tebalducci, era indemoniata; né mancorno i parenti di farvi tucti quegli rimedi, che in simili accidenti si fanno, ponendole in capo la testa di san Zanobi et il mantello di San Giovanni Gualberto.”
San Vito era il santo degli indemoniati
Secondo la tradizione San Vito sarebbe nato a Mazara del Vallo o a Marsala, intorno all’anno 286. Fu considerato il santo degli indemoniati avendo guarito la figliola spiritata dell’imperatore Diocleziano:
“Lo ricercò l’Imperatore, che egli risanasse la sua figliuola, e li disse la causa…. Andò Vito dov’era la giovane, e posegli la mano sopra la testa, e disse: ‘In nome di Giesù Christo io ti commando spirito maligno, che tu ti parti da questa creatura sua’. Il Demonio si partì urlando terribilmente, e nel partirsi trattò male alcuni Gentili, che si erano fatti beffe di Vito, non credendo, che lui dovesse risanare l`inferma.”
A Roma, si diceva che presentasse gli stessi sintomi dell’indemoniato colui che venisse morso dalla tarantola “maritata”, precisa Giggi Zanazzo che già abbiamo incontrato come esperto di tradizioni romane. Se invece si trattava di una tarantola “zitella”, la vittima era presa da un riso incontenibile; come da pianto irrefrenabile se la tarantola era “vedova”. La cura? Ovviamente non era l’esorcismo.
Si guariva di questo male, dice il nostro Giggi “… cor sentì’ la musica; infatti, quello ch’è stato mozzicato in der senti’ li sôni, se mette a bballà’ a bballà’, ffinchè ccade per tera da la stracchezza, s’addorme e gguarisce”.
2 Commenti. Nuovo commento
Caro Gianpiero,
sono ancora io a s. Ginese dove ho vissuto per un pò di tempo ,negli anni ’50 del secolo scorso .Il 24 agosto iniziano i festeggiamenti del patrono ,che durano tre giorni. Il paese si chiamava Casteldurante fino a quando,nell”800,fu eretta la nuova (attuale) chiesa e ,tra gli scavi fu rinvenuta un’urna di pietra con la reliquia del santo(un dito indice) e una pergamena che diceva a chi fosse appartenuto tale reperto: per questo il paese assunse il nuovo nome.
I festeggiamenti culminavano con la processione pomeridiana in cui veniva portata per il paese la reliquia del Santo con largo seguito di gente, ma anche di ammalati ,mi fu detto, di epilessia o più in generale di malattie neurologiche che si manifestavano con con crisi caratterizzate da sommovimento incontrollato noto come “tarantolismo” .
Non saprei dire perchè questi ammalati venivano alla processione del 24 agosto in preghiera dietro la reliquia del “dito” di s. Ginese.
Sapevo che s .Ginese o Genesio era un mimo, fatto martirizzare nel 303 dall’imperatore Diocleziano per essersi rifiutato di rappresentare in scena ,in modo burlesco, il battesimo sacramento dei Cristiani,(per questo è diventato il patrono della gente di teatro) ,ma non saprei dire perchè era anche il protettore degli epilettici e dei tarantolati .Quelli che venivano alla festa del Santo, una volta rientrati in chiesa si prosternavano in preghiere ed invocazioni davanti alla statua di s. Ginese e venivano assistiti dai familiari e dal prete .Era, a questo punto, che poteva accadere che uno o più ammalati ,sulla scia delle preghiere e delle invocazioni cadesse in deliquio e ,gli occhi strabuzzati e la schiuma alla bocca, emettessero suoni ,rantoli e parole indecifrabili iniziando a contorcersi sul pavimento della chiesa sul quale il prete aveva fatto stendere un tappeto in previsione che potessero verificarsi queste scene .I familiari accompagnavano i contorcimenti del o degli ammamalato/i con preghiere dette ,e quasi urlate, in faccia ai poveri epilettici ,mentre guardavano supplici la statua del santo .Il prete sollecitamente aspergeva la crisi del tarantolato con acqua benedetta e un chierichetto ,subito dopo, gli porgeva il turibolo con l’incenso che avvolgeva il santo, gli ammalati e i familiari in una nube biancastra e profumata di fumo.
Quando si manifestavano ,contemporaneamente la crisi di più ammalati la scena era veramente da girone infernale.
Il rito si concludeva in due possibili modi:se l’ammalato dopo la prima crisi ,a breve distanza di tempo ricadeva in un’altra analoga situazione di “tarantolismo” ed a questa ne seguiva ancora un’altra ,al tarantolato s.Ginese aveva fatto la grazia ed era guarito. Se questo non accadeva il malato non era stato graziato e sarebbe dovuto tornare l’anno successivo a chiedere di nuovo al Santo la guarigione.
A questi riti ho assistito, da ragazzo per sei-sette anni e ti assicuro che erano piuttosto sconvolgenti .Non so se ancor oggi a s .Ginese il 24 agosto praticano questo rituale.
Anch’io da ragazzo, ho assistito ad un rito del genere che veramente mi impressionò. Ti ringrazio per la tua preziosissima testimonianza che non mancherò di riportare a tuo nome parlando della festa di San Ginese.
Risultava anche a me che gli “indemoniati” venivano portati a San Ginese del 24 agosto.