Capitolo V Pacconi cannoneggiato
Verso la fine del 1937, la fede fascista del Nero, sembrò vacillare: partecipava alle sfilate più raramente, accampando i problemi di salute di sua moglie Gilda che dava segni di debolezza mentale, sempre più marcati.
Si limitava soltanto a passare di casa in casa a Pacconi, per avvertire, almeno con una giornata di anticipo, quando il Duce avrebbe parlato alla radio. Con tutti si raccomandava di essere puntuali, perché sarebbe stata una mancanza di rispetto arrivare in ritardo.
Il discorso del Duce, produceva commenti nelle riunioni “sotto la luce”, più preventivi che successivi. Del tipo:
– È venuto il Nero a informarti del discorso di stasera?
– E come no? Mica se lo dimentica quello!
– Ci vai?
– E lo domandi? Perché tu rimani a casa?
– E come si fa… un paio di palle!
– Dove andiamo?
– Da Serafina: ci facciamo il quartino e se il discorso non dura troppo, ci potrebbe incastrare anche una partitella a briscola.
– Speriamo! Ormai quei discorsi li sappiamo tutti a memoria…
– Il Nero vorrebbe che andassimo alla sede del Fascio per ascoltare il Duce…
– Bisogna andare alla sede del Fascio – interveniva Chiodo.
– E perché?
– Me lo chiedi? Che vuoi che sappia la radio di Serafina! Perfino un sordo si rende conto che c’è discorso e discorso!
Chiodo scherzava e tutti ridevano perché sapevano che la differenza fra le due radio era stata messa in discussione, e seriamente, dal Cherubino, in una giornata senza vento.
E poi a Serafina ci si poteva guardare intorno e se ci si trovava tra tutta gente fidata, ci si poteva permettere di mandare a fare in culo il Duce, in diretta.
Comunque, a quei tempi, anche le pareti avevano orecchi, e fu che le intemperanze degli avventori di Serafina, furono portate all’attenzione dei gerarchi locali i quali, si seppe, che avevano organizzato, per una notte determinata, una spedizione in grande stile, per dare una lezione memorabile ai rossi pacconami.
Raccontava il Putrì, che quella notte, uomini, donne, vecchi, vecchie e bambini, armati di tutto punto, dotati di armi sofisticate, sconosciute perfino all’esercito italiano, erano acquattati nelle fosse di Pacconi, in attesa degli araldi e degli arditi vendicatori.
La salvezza di tante vite fasciste, concludeva il Putrì, avvenne grazie ad una provvidenziale soffiata, sicuramente del Nero, venuto a conoscenza, non si sa come, della resistenza armata.
Serafina, era la zona di ingresso in Pacconi, che aveva dato il nome ad una osteria – alimentari – mescita di vini, gestita da tre sorelle nubili, dopo la morte del loro padre. Oltreché per il vino era famosa anche nei dintorni, per la trippa. I pacconami la frequentavano soltanto per gli alimentari e la mescita, perché non c’era l’abitudine di andare all’osteria, ma, di domenica, venivano anche da Lucca per mangiare la “trippa Savina”.
Tutti la conoscevano e la ordinavano con questo nome, e Savina, sorella del Sagrestano, ne andava, giustamente, orgogliosa. Di domenica, non dovendo staccare il cavallo al blasfemo fratello, faceva la cuoca a Serafina, e così oltre alle lodi, racimolava anche qualche lira che riponeva nel paniere delle uova.
La dichiarazione di guerra non fu gradita al Nero che, da quel momento cominciò a dar segni di insofferenza verso il regime, ma a causa dei suoi trascorsi, cercò di nascondere alla gente di Pacconi. Fu riformato per un soffio al cuore e i suoi ex camerati gli andavano dicendo alle spalle, ma anche apertamente che “chi non è buono per il re, non è buono neanche per la Regina”. Un tempo ne sarebbe stato mortalmente offeso, mentre ora non gli importava proprio nulla.
Sul finire della guerra, quando i tedeschi ormai sconfitti, facevano saltare i ponti per guadagnare qualche ora sugli Alleati che li tallonavano, il Nero, pensò al suo riscatto.
Una mattina, quasi a voler cancellare con un colpo di spugna il suo passato fascista, sparò ad un tedesco in fuga. L’uccise. Nella stessa notte, Pacconi fu cannoneggiato dalle Pizzorne, che sovrastano la piana. Fu soltanto dovuto alla fortuna, se nessuno perse la vita. Ci rimisero gli Zebedei che ebbero la soffitta squarciata da una granata.