Chet Baker, il trombettista adottato da Lucca
I lucchesi un po’ più su con l’età, sono portati a considerare Chet Baker, un loro concittadino. Un motivo c’è.
Chesney Henry Baker Jr., chiamato più brevemente “Chet Baker”, nato a Yale in Oklahoma il 23 dicembre 1929, è stato uno dei più grandi trombettisti e cantanti jazz americani. Fin da piccolo si nutrì di latte e musica, perché suo padre era un chitarrista professionista e sua madre una pianista. Nel 1940, la sua famiglia dall’Oklahoma si trasferì a Glendale, in California.
Da ragazzino, cantò nel coro di una chiesa, suonò il trombone, poi la tromba, ancor prima di ricevere una minima educazione musicale frequentando l’ High School di Glandale. Lasciò la scuola nel 1946 per arruolarsi nell’esercito americano, dove fu inserito nella banda come suonatore di tromba. Nel 1951 lasciò l’esercito per intraprendere la carriera di musicista professionista. Da subito riscosse un lusinghiero successo. Purtroppo, però, nella sua strada incontrò la droga.
Nel 1959 ebbe la prima condanna che scontò con sei mesi di carcere e nell’ottobre attraversò l’oceano per stabilirsi in Italia, e più precisamente in Lucchesia. Fu subito ingaggiato da Sergio Bernardini per le serate alla Bussola di Marina di Pietrasanta, dove conquistò ben presto tanti fans, ma senza riuscire a sottrarsi dalla dipendenza.
Suonava per i lucchesi
Così nel luglio 1960 un agente di polizia trovò Baker in una pozza di sangue nel bagno di una stazione di servizio in Versilia, dove aveva tentato di “bucarsi” in un braccio. Fu ricoverato in una clinica di Lucca e nell’agosto fu arrestato per possesso di droga e tradotto nelle carceri di San Giorgio. In carcere gli fu consentito di suonare la tromba e così i lucchesi di sera, dalle mura potevano assistere ai suoi straordinari concerti.
Una sera capitò sotto le finestre del carcere Hengel Gualdi, il miglior clarinettista jazz di tutti i tempi, con il suo strumento, a suonare per Chet. Le guardie lo volevano arrestare, ma poi dovettero inchinarsi a quella musica.
Chet in seguito allietava i lucchesi con le sue note dalle finestre dell’hotel Universo, dove alloggiava, a cavallo del davanzale di una finestra del secondo piano, prospiciente la Piazza del Giglio.
Nel processo, che si celebrò a Lucca nell’aprile 1961, il pubblico ministero chiese per lui, una condanna a sette anni. Ne ebbe tre; poi via via ridotti, fino a diventare sedici mesi. Il trombettista d’oro restò a Lucca per qualche tempo ancora. Si disse che il carcere lucchese lo avesse completamente riscattato dalla dipendenza di stupefacenti e Chet se ne tornò in California, ricordando sempre la sua Lucca.
Posso testimoniarlo con quanto mi raccontò, diversi anni fa, un mio amico emigrato temporaneamente negli USA.
Era un patito del grande jazz e, a Chicago, si imbatté in un cartellone che annunciava una serata con Chet Baker. Non poteva lasciarsi sfuggire un’occasione del genere. Per tempo entrò nel locale, e dopo la prima esibizione di “My Funny Valentine” non seppe resistere dal gridare, al trombettista che aveva a due passi: “Sei un grande Chet, sei il più grande!” Lui si rivoltò verso il mio amico e gli chiese:
-Sei italiano?
-Si.
-Di dove?
-Toscana.
-Quale città?
-Lucca.
-Lucca dentro o Lucca fuori?
-Lucca fuori… sono di Porcari!
-Davvero? Che fortuna! Quando torni a casa, salutami il Concino! Abbraccialo per me!
Il Concino era il nomignolo di una persona di Porcari che aveva trascorso alcuni mesi di galera nella stessa cella del trombettista d’oro.
Chet Baker morì nel maggio 1988, su un marciapiede di Amsterdam. Suicidio, delitto, disgrazia quel tragico volo? Non lo sapremo mai.
7 Commenti. Nuovo commento
Che storia….grazie Giampiero
Era amico di mio zio
Mio padre, Pierluigi Lippi Francesconi, neuropsichiatria lo curó per tanto tempo e ancdò anche in carcere per averlo curato con il metadone per disintossicarlo. Poi dopo tre mesi di carcere vennero bfatte le scuse e mio padre fu rilasciato. Ha avuto un bel rapporto di amicizia con lui. Io ero piccola ma mi ricordo bene, un giorno vidi Chet nel nostro cortile al mare che cercava di forzare l’auto di mio padre per cercare di di metadone…
Cordiali saluti
Micaela Lippi Francesconi
Questi aneddoti, sicuramente sconosciuti, sono molto utili per ricostruire la vera personalità dei personaggi. Grazie per il tuo contributo.
E scopro che, ciò che sentivo aleggiare in casa da piccola, da molto molto piccola, nei ricordi di mio padre e di cui io stessa ho vaga memoria, è un fatto accaduto per davvero! Che emozione, grazie per il suo prezioso racconto!
Grazie a te per la conferma.
tUTTI Q