Donne in fila per covare le uova
Nella piana di Lucca, il 25 aprile, San Marco evangelista, era il giorno dedicato alla benedizione delle uova dei bachi da seta. Messa solenne e processione. Le donne vi partecipavano, tenendo in seno una piccola tasca di tela contenente le uova ed attendevano la benedizione del santo, che avrebbe dovuto assicurare un prospero raccolto.
Le uova così incubate si dischiudevano dopo alcuni giorni, dando alla luce il baco che veniva posto su appositi cannicci nel piano più alto delle case contadine. Dopo circa trenta giorni i bachi iniziavano a tessere il bozzolo che avrebbe dato il prezioso filo.
L’attività di allevamento del baco da seta
L’attività di allevamento del baco da seta, diffusissima nelle nostre campagne, durava poco più di un mese, ma impegnava quasi tutti i membri della famiglia, specialmente i ragazzi che dovevano alimentare i bachi con una notevole quantità di foglie di gelso.
Allora si diceva scherzando che l’animale più furbo era il baco da seta perché “mangiava la foglia”.
Questa coltura era estremamente delicata e si riteneva che potesse essere compromessa dalle variazioni climatiche inattese, come un caldo eccessivo o un freddo inaspettato.
Quando però tutto andava per il verso giusto, il corrispettivo conseguito dalla vendita dei bozzoli, assicurava alla famiglia quel po’ di denaro contante che sarebbe servito per togliersi quelle soddisfazioni difficilmente appagabili con il lavoro ordinario dei campi.
La seta fonte di ricchezza per Lucca
Dava poco, comunque, a chi produceva la seta ma tanto a chi la lavorava. Molte erano le famiglie di nobili mercanti lucchesi che si erano arricchite con quella attività.
La prima filanda di seta con concetti moderni sarebbe stata aperta nel 1341 da un certo Bolognino da Borghesano, di Lucca. I cronisti dell’epoca parlano addirittura di una macchina che “sbrigava il lavoro di quattromila filatrici”. Non esistendo in quell’epoca accordi internazionali sui brevetti e sui marchi di fabbrica, si puniva con la pena di morte chi rivelava i segreti di fabbricazione.
La seteria Lucchese ebbe il suo periodo aureo nei secoli XII e XIII quando nella città funzionavano ben trecento telai, capaci di tessere 360.000 libbre di drappi all’anno, per un valore di oltre un milione di scudi.
I modi di dire mutuati dall’allevamento del baco
La pratica dell’allevamento del baco da seta ha lasciato un segno indelebile anche nelle nostre espressioni dialettali, come, “essere una faloppa” o “pagare a bozzoli”. Faloppa era il baco che non riusciva a completare il guscio di seta, e così veniva chiamata la persona che mostrava scarso interesse per il proprio lavoro. “Pagare a bozzoli”, era un modo di pagamento molto aleatorio e quasi corrispondeva a “non pagare”, perché dipendente dalla raccolta dei bozzoli, che raramente andava a buon fine.
Festa a Villa Basilica (ma non per i bachi)
La festa che si faceva a Villa Basilica, per San Marco, era di altro tipo. Richiamava in particolare le giovani e meno giovani, alla ricerca del compagno ideale con cui legarsi per la vita, mentre era decisamente sconsigliata a chi il fidanzato lo aveva già. C’era infatti la credenza che
“quelle che vanno alla festa di S. Marco, se non hanno il damo, lo trovano, e quelle che lo hanno, lo perdono”.
Nella foto: Telaio per filatura seta.
1 Commento. Nuovo commento
Caro Giampiero,
se vai per i campi e per le strade minori della Piana di Lucca ,specie in quelle terre ai piedi dei monti delle Pizzorne da Ponte a Moriano fino a Gragnano, vedrai ,specialmente in giugno quando sono carichi di more bianche o rosse o ,appunto, more, reperti di archeologia vegetale :sono i gelsi o ,come anche si chiamano, mori. Anche la collocazione di questi alberi denota la loro natura di sopravvissuti ,ormai longevi e carichi di anni ,perchè invariabilmente sono situati sul ciglio di un campo o in fondo al campo stesso in quella parte più stretta corrispondente alla zona di solito mai coltivata ,confinante con la strada o lo stradone sterrato che consentivano l’accesso al campo, chiamata “cavedagna” .Questa area ristretta ,perchè piccolissime parti del campo si sottraevano alle colture ,era destinata alla coltivazione
della saggina le cui piante, giunte a maturità ,si tagliavano e ,una volta essiccate e battute per liberare i filamenti terminali dai semi ,servivano per fare granate, scope, scopini e scopetti per i vari usi in casa. La cavedagna serviva anche per bruciare le “gramigne “ed le altre erbe infestanti che si ricavavano dalla vangatura del campo. Era in questa zona ,inoltre, che si costruivano i serbatoi ,quasi sempre in mattoni ,scialbati all’interno ,per il deposito del “perugino” che serviva per concimare le colture.
I gelsi, piantati a filari lungo il ciglio dei campi, oltre alla funzione principale di fornire con le loro foglie ,l’alimento dei bachi da seta, servivano da tutori alle viti che, pure ,venivano impiantate sul bordo dei campi.
Come si può agevolmente constatare l’agricoltura della proprietà contadina ,nel contado lucchese ,era svolta sfruttando accuratamente e con intelligenza ogni minimo spazio .Del resto la fertilità del suolo, la ricchezza di acqua e l’utilizzo della policoltura, che riusciva a far coesistere in piccoli appezzamenti di terreno la coltivazione del grano, del granturco ,della vite e del gelso in un ciclo quasi perfetto ,che non sprecava nulla, neppure le deiezioni umane e animali per la concimazione, riusciva a dare, a chi tale agricoltura praticava, un sostentamento e una condizione di vita accettabili.
….e così sia….