E poi c’erano gli amanti incontentabili….
Quelli che non rispettavano i giorni canonici per andare a trovare la “dama”, ma vi andavano anche più volte al giorno per la disperazione delle mamme e delle zie, che dovevano essere pronte a montare di guardia, perché
“…du’ ragassacci riscaldati
è sempre ben tienilli sorvegliati
dalla punta der piédi alla manina…”
come consigliava Gino Custer De Nobili, il nostro poeta dialettale.
Quel tipo di amanti di cui abbiamo parlato, pronti a far disfare le boccaiole del forno per cuocere un buccellatone da primato, e poi demolire parzialmente un barroccio per poterlo trasportare alla fidanzata.
Alle sortite di casa della domenica pomeriggio (rigorosamente nell’ambito del paese), quando avevano la fortuna che a “montare di guardia” era il ragazzino di casa, non ci pensavano due volte a bruciare gli ultimi spiccioli, per corromperlo.
Questo, con un soldo, come riferisce Tullio Bianchini, “… andava a piglia’ un fiasco d’acqua in Campitelli per beve la magnesia e tornava dopo mezz’ora”.
Erano esagerati in tutto, come se volessero dimostrare che un amore così grande, non aveva rivali.
Pronti a cantar serenate
Spesso ricorrevano alle serenate, che potevano essere “scoperte” o “coperte”, a seconda che venisse pronunciato o meno il nome dell’amante. Sicuramente l’amante del tipo di cui si parla, preferiva la serenata scoperta, in modo che non soltanto la donna, ma tutto il vicinato venisse a conoscenza dell’intensità dei propri sentimenti.
“Se vuoi veder s’io t’amo e s’io t’adori
Affacciati un pochino alla finestra
Non dico mica che t’affacci fuori
Perché la notte è cosa disonesta…”
Mi sembra di vederli quei vicini di casa, che scuotendo la testa, di fronte a tanto enfatiche esternazioni, andavano ripetendo, con quella prudenza tutta lucchese: “Più foo vedo, meno mi scaldo”, come dire che non si poteva credere ad un amore così incontenibile.
“Se fuori alla finestra ti farai
Chi t’ama e chi ti adora lo vedrai
Se fuori alla finestra vi farete
Chi v’ama e chi vi adora lo vedrete”.
Se l’amante aveva una bella voce o la credeva tale, era lui stesso a cantare la serenata, altrimenti, se la faceva cantare da altri, sempre con l’accompagnamento di una chitarra o di un mandolino o di una fisarmonica.
Neanche a dirlo, la dama occhieggiava dietro la finestra appena accostata ed andava in brodo di giuggiole, pregustando già il trionfo del giorno dopo, con le amiche, invidiose di un damo così appassionato e generoso.
La sera successiva, in casa, se lo sarebbe mangiato con gli occhi, quel damo, sfidando gli sguardi arcigni e severi, della madre-lume, che, fiutato il pericolo, non li avrebbe lasciati soli neanche per un attimo, perché i “confetti bucati” avrebbero portato disonore a tutta la famiglia.
Eugene De Blaas, Il pretendente non visto, 1898
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Grande Giampiero!
Articoli sempre molto interessanti e piacevoli.
Grazie.