Farinello il famoso castrato si esibì a Lucca
Farinello, o Farinelli, pseudonimo di Carlo Maria Michelangelo Nicola Broschi, nato a Andria il 24 gennaio 1705, è considerato il più famoso cantante lirico castrato della storia.
Dopo di lui, ci fu Luigi Ludovico Marchesi che furoreggiò nella seconda metà del 1700, ma non ai livelli del grandissimo Farinello, che i lucchesi conobbero nel 1730, interprete dell’ARBACE, opera in tre atti di Francesco Bianchi e della “Ninfa riconosciuta”.
Apparteneva ad una famiglia di veri cultori della musica e per questo il padre, Salvatore, volle indirizzare i suoi due figli, fin da piccoli, verso questa arte. Riccardo, il figlio maggiore, fu compositore, mentre Carlo fu mandato a Napoli, per studiare canto con Nicola Porpora. Pare sia stato Riccardo a sottoporlo alla operazione di castrazione, affinché il fratellino Carlo potesse conservare la voce di soprano o contralto prima che la Natura ne producesse il cambiamento.
Era un virtuoso del canto: cinguettava, faceva trilli, arrivava a note impossibili, accontentando il gusto degli amanti della musica di quei tempi. Faceva “duelli” con trombettisti a chi teneva una nota più a lungo ed a vincere era sempre lui.
Un giorno a Vienna l’Imperatore Carlo IV gli disse che nessun altro cantante poteva essergli messo a confronto perché il suo canto produceva nell’ascoltatore sbalordimento e ammirazione, tuttavia le sue note non arrivavano al cuore: avrebbe dovuto curare più il sentimento e cantar meno di “bravura”. Ascoltò e mise in pratica quel consiglio e diventò il cantante più commovente, più completo.
Un inglese dopo che l’ebbe sentito cantare, esclamò: “un solo Dio e un solo Farinello”.
Tornò al Giglio nell’autunno 1733 per cantare nella Merope.
La sua voce, nel 1737, riuscì a curare Filippo V di Spagna dalla sua nevrastenia e malinconia. Il sovrano gli chiese di cantare soltanto per lui, assicurandogli uno stipendio di 2000 ducati. Restò in Spagna per oltre venti anni.
Nel 1759 rientrò in Italia, ed andò ad abitare in una sontuosa villa vicino a Bologna, ricominciando le sue tournée per i teatri d’Europa. Per qualcuno costituiva una figura patetica ed i suoi avversari lo chiamavano “il cappone“. Scriveva il poeta Giuseppe Parini:
“Aborro, in su la scena
un canoro elefante
che si trascina appena
su le adipose piante
e manda per gran foce
di bocca, un fil di voce”.
C’era chi disprezzava quella moda di castrare i bambini per il godimento dei così detti cultori del bel canto. Scriveva Rousseau nel 1768:
“Si trovano in Italia dei padri barbari che, sacrificando la Natura alla Fortuna, conducono i propri figli a questa operazione per compiacere persone crudeli e voluttuose, che osano ricercare il canto di questi disgraziati”.
Racconta Giacomo Casanova, noto rubacuori veneziano, di aver incontrato il famoso cantante in questa sua villa, ormai settantenne, e dice che si era perdutamente innamorato della moglie di suo nipote Matteo. L’aveva segregata in casa dopo aver spedito il nipote in viaggio. Ci poteva far ben poco: poteva soltanto farla arrabbiare. E commentava il Casanova: un castrato, invaghito di una donna che lo detesta, diventa una tigre.
Ormai ricco e famoso, il celebre cantante dalla voce di bimbo, evirato a soli 12 anni, morì nella villa bolognese, di solitudine e di malinconia, il 17 settembre 1782. Scrisse nel suo testamento di voler essere sepolto nella chiesa di Santa Croce sui colli di Bologna, prescrivendo per sé un funerale seguito da cinquanta poveri.
2 Commenti. Nuovo commento
Mi sembra una novella ma sarà proprio vero..non rieo a crederci
Verissimo. Specialmente nei secoli XVI, XVII e XVIII tanti ragazzi venivano sottoposti a tale mutilazione per ottenere le voci “angeliche”. La Chiesa cattolica purtroppo ha avuto una parte da protagonista in queste vicende. Dal 1560 si castravano i bambini per l’uso della cappella Sistina. Nel 1589, il papa Sisto V emise una bolla di approvazione al reclutamento di castrati per il coro che funzionava nella Basilica di San Pietro.