Francesco Carrara e la pena di morte
Riposa nel Famedio, fra i Grandi Figli di Lucca, la salma del giurista Francesco Carrara, nato nella nostra città il 18 settembre 1805 e morto il 15 gennaio 1888. Fu il maggior penalista italiano della seconda metà dell’800, professore di Diritto Criminale all’Università di Pisa, socio nazionale dell’ Accademia dei Lincei, per tre volte Deputato al Parlamento e infine, dal 1876, senatore del Regno d’Italia.
Si batté come un leone per l’abolizione della pena di morte e per l’eliminazione della carcerazione preventiva che considerava “immorale”. Sosteneva che la modernità del Diritto deve consistere nella tutela della libertà individuale (perché il Diritto è sinonimo di Libertà) e, rivolto alla classe politica ammoniva: “Non basta l’enfatica proclamazione di un principio, se poi sfacciatamente lo rinneghiamo nella pratica di ogni giorno”.
Insieme a Pietro Ellero dette vita ad una rivista che aveva come titolo: “Giornale per l’abolizione della pena di morte”. La sua battaglia continuò nelle commissioni di cui fece parte per la stesura del nuovo Codice Penale che vide la luce soltanto alcuni mesi dopo la sua morte.
Francesco Carrara fu universalmente considerato il capo indiscusso della scuola classica di Diritto Penale.
Fra i libri e le pipe
Fu uno studioso per vocazione. Nella sua biblioteca personale figuravano ben 9000 libri che regalò all’Università di Pisa. Fu saggista con all’attivo una miriade di scritti giuridici.
Viveva a Lucca-dentro, ma passava i mesi estivi e vi restava, ogni anno, fino all’11 di Novembre, nella sua villa tra i boschi di San Martino. Il “Quercione”, quella pianta ciclopica, la seconda in Toscana per grandezza, sei secoli di vita, faceva parte del parco della sua villa.
Trascorreva il suo tempo leggendo e fumando le sue molte pipe alle quali aveva dato, ad ognuna di esse, importanti nomi di donna: “Lucrezia”, “Messalina”, “Clopatra” ecc. ecc.
Teorico del diritto ma anche avvocato di lusso. In quel famoso processo che si celebrò a Lucca nel 1845 (v. mio articolo del 28.5.2021) riuscì a sottrarre alla pena di morte, certo Francesco Prosperi, accusato con altri complici di “furti violenti e sacrileghi”. Professionista coscienzioso e generoso perché più di una volta aveva assunto la difesa di chi sapeva non essere in condizioni di poter pagare la parcella.
I rapporti con il figlio Tista
Anche uno dei suoi due figli, Giovan Battista, divenne un valente avvocato. Fra padre e figlio c’era un legame molto stretto e nella corrispondenza usavano un linguaggio libero e disinvolto. Scurrile quando occorreva.
Troviamo lettere dove il padre spiega a Tista (Giovan Battista), come la vede lui, in relazione ad un caso legale che si era concluso con un suicidio. E Francesco, dopo una sintetica disamina conclude: “Pigliano marito e poi non vogliono farsi fottere. Se il marito è santo va a pisciare altrove e la casa sta in pace. Se il marito è matto, la casa va in baldoria…”
Di lui, così scrisse Giuseppe Pera, anch’esso lucchese, giurista e accademico italiano, professore emerito all’Università di Pisa, ritenuto uno dei padri fondatori del diritto del lavoro: “Francesco Carrara costituisce ancora oggi un punto obbligato di riferimento nella speculazione penalistica, come il più eminente teorico della scuola classica del diritto criminale … pensatore principe di un indirizzo del quale restano ancor oggi cospicue tracce, e nella cultura giuridica e nel più vasto ambito delle scienze sociali ed umane collaterali”.
Monumento al prof. Francesco Carrara nel cortile Carrara del Palazzo Ducale a Lucca