Gennaio è il mese del gran freddo
Gennaio (Ianuarius) è il mese che gli antichi romani dedicarono a Ianus (Giano), il dio bifronte, preposto a tutti gli inizi, sia nello spazio che nel tempo. Con febbraio è il mese più freddo dell’anno, nemico dei poveri destinati a soffrire freddo e fame: tutti si auguravano che passasse prima possibile, senza arrecare eccessivi danni. I giorni più freddi, nei ricordi dei nostri vecchi, erano il 17 (Sant’Antonio Abate) e i “giorni della merla” (dal 29 gennaio al 31). “Sant’Antonio, gran freddura”, si diceva e anche: “Sant’Antonio dalla barba bianca, se non piove la neve non manca”.
Essendo il mese d’esordio dell’anno, si prestava come nessun altro ai vaticini. Se bisestile, sarebbe stato un anno disgraziato; altrettanto se il primo giorno iniziava di venerdì come successe per il 2021.
C’era chi, dai primi dodici giorni dell’anno, prevedeva l’andamento meteo dei mesi e cioè se ad esempio la vigilia di Befana, cinque di gennaio, fosse stato piovoso, avremmo avuto un maggio (quinto mese) piovoso e così via, vaticinando. Anche a San Romano di Borgo a Mozzano, si seguiva questa linea, ma doveva essere convalidata dalla bella giornata del 25 gennaio, San Paolo, perché, c’era il detto “dei calendi non mi curo purché Paolo non sia scuro”.
La festa più importante di questo mese è sicuramente l’Epifania
o, più precisamente la vigilia dell’Epifania, la festa dei ragazzi, i quali nella sera del cinque, restano in trepidante attesa dei regali che la generosa vecchina infreddolita, scendendo dai monti con barroccio e miccino, consegnerà loro. La Befana, al contrario delle altre ricorrenze, è una festa intima, personale, che ogni bambino sente come destinata a lui soltanto, e per questo più apprezzata.
Da noi, qui in Lucchesia, si celebra con pochissime differenze fra una località e l’altra. Gli stessi canti, pur costruiti su arie leggermente diverse hanno contenuti e significati similari.
Il 17 la civiltà contadina, festeggiava con grande enfasi Sant’Antonio Abate il protettore degli animali domestici e quelli da lavoro come buoi, cavalli, asini, muli e bardotti, considerati indispensabili ‘compagni’ di fatica nei campi. In tante parti d’Italia usa festeggiare Sant’Antonio con l’accensione di fuochi, alti, del tipo dei nostri natalecci. Questi grandi falò, solitamente vengono accesi la sera della vigilia della festa, dopo una partecipata processione.
La leggenda di Sant’Antonio e il fuoco
E perché il fuoco? Perché una antichissima leggenda, raccontava che fosse Sant’Antonio ad aver procurato il fuoco alla gente per alleviare le pene del freddo. Il santo, in compagnia del solito fedele maialino, si recò addirittura all’inferno per procurarlo. I diavoli gli volevano impedire di entrare, ma il maialino, in un momento di distrazione penetrò attraverso il portone appena accostato e cominciò a fare il “diavolo a quattro”, tanto che essi, non riuscendo ad agguantarlo chiamarono Sant’Antonio affinché se lo riprendesse. Allora il santo, vi entrò con il suo bastone che incendiò e con questo dette fuoco alla catasta di legna che gli uomini della terra, avevano predisposto.