GENTE DI CORTE – Capitolo IV
(continua)
Seduta sull’orlo del pozzo stava Gilda: la vecchia ormai smarrita, stanca e puzzolente, trascorreva le sue giornate lì, rigirando un bastoncino fra le mani grinzose. Ripeteva senza fine: “Sono una scaglietta di legno. Ora mi butto”. E un giorno si era davvero buttata e aveva dato un gran da fare a tutti per il suo recupero. Riuscivano a tirarla fino ad una certa altezza e poi di nuovo precipitava, finché toccò proprio a Germano, calarsi nel pozzo, legarla alla vita con una fune robusta e trarla finalmente in salvo. Per un mese nessuno attinse più acqua, poi la cosa fu dimenticata.
La presenza della donna sul pozzo continuava a costituire per tutti una minaccia e così ognuno aveva tentato di far qualcosa per toglierla da lì, con le buone e con le cattive maniere, per il suo bene, s’intende! perché la precaria condizione mentale di lei rendeva ancora più pericoloso quello stazionare sul pozzo. Ma lei non sentiva ragione. Aspettava, seduta, fino alla sera: fino a quando rientrava il marito. Allora i suoi occhi, assenti per ore, si puntavano sull’uomo che staccava dal barroccio la bestia grondante, che portava l’asino nella stalla, che gli preparava il letto e lo abbeverava.
– Ecco Genio – ripeteva lei.
Soltanto questo. L’uomo sembrava non vederla. Si avvicinava lentamente alla porta di casa, che recava all’altezza degli occhi, una piccola croce del colore del rame, inchiodata, ed apriva la porta. Lo si sentiva trafficare dentro nell’accendere il fuoco e preparare qualcosa da mangiare. Poi usciva col secchio. Attingeva acqua nel pozzo e finalmente Gilda scendeva per accompagnarlo di nuovo in casa, dove, insieme, dividevano una solitudine senza speranza. Quando salivano in camera, Gilda si lasciava cadere sul letto come uno straccetto. Al buio, Genio, nato Eugenio e ribattezzato il Nero, ricordava Gilda in boccio, fiera e dignitosa e non si capacitava come la vita ed il tempo, potessero essere così devastanti. Al risveglio, il Nero si rammaricava che la notte fosse sempre tanto breve.
Di tante cose che Rinaldo avrebbe voluto dire ad Anna, quella sera al pozzo, gli venne fuori soltanto:
– Ti ricordi il maialino che avevamo?
– Sì. Si chiamava Paco – rispose lei senza aggiungere altro.
– Torni domani sera?
– Dove? – disse lei.
– Qui al pozzo…
Si accorse di aver soggezione di lei, come si può provare per le persone più importanti, o più istruite, o più ricche. Gli sembrava inarrivabile. Che sciocchezza! Era Anna: quella bambina della corte, che aveva frequentato soltanto la scuola elementare, figlia di Germano e di Nonzia.
Riflettere su tutto questo non gli giovò. Virò verso l’uscio di casa, e la lasciò in mezzo alla corte, senza nemmeno dirle “ciao”.
Gilda restò seduta sull’orlo del pozzo in attesa del Nero e prima che Anna se ne andasse, disse ancora una volta: “sono una scaglietta di legno. Ora mi butto”.