GENTE DI CORTE – Capitolo V
Il Nero era un barrocciaio taciturno, appartato, non partecipava agli incontri “sotto la luce”, né partecipava agli scherzi di cui il più delle volte, era vittima Tobia, nato Sante.
Parlava soltanto quando gli si rivolgeva la parola, rispondeva al saluto quando era salutato. Non era sempre stato così, e neanche il soprannome era stato sempre quello. Gli fu attribuito, a sua insaputa, dopo il 1923, per la sua militanza fascista. Aveva creduto nel Fascismo, sinceramente, e da subito si era tesserato. Avrebbe voluto partecipare alla Marcia su Roma, insieme a Chiodo, ma Gilda, sua moglie glielo impedì, minacciando di buttarsi nel pozzo se lo avesse fatto, quasi anticipando quello che più tardi, diventerà la sua ossessione. Si era quindi dovuto limitare a prendere la tessera del partito, come moltissimi altri, anche se gli altri non lo fecero con lo stesso entusiasmo. Riuscì comunque a conquistarsi parecchi meriti, tanto che in paese tutti cominciarono a rivolgersi a lui dandogli del voi e chiamandolo signor Eugenio, nonostante continuasse a fare il barrocciaio.
All’inizio della sua militanza, si era unito a quei gruppi di facinorosi che si erano assunti il compito, quasi fosse una missione, di “convertire gli scettici alla fede fascista”. Operava come si usava fare, nei paesi limitrofi, dove era poco o per niente conosciuto. Dicevano che fosse dal manganello facile e convincente somministratore di olio di ricino, ma erano dicerie senza riscontro, perché in paese nessuno poteva dir nulla.
Tuttavia, circolavano voci che fosse stato lui a mandare, una notte, la squadraccia di Altopascio in casa del Sagrestano per somministrargli quella pozione miracolosa, destinata agli agnostici e agli indifferenti. Oltretutto il Sagrestano era anche irrispettoso, perché non si toglieva il cappello neanche davanti al Podestà e men che meno davanti al segretario del Fascio.
A proposito di quella notte, il Putrì sempre presente ai fatti più importanti come un inviato speciale, raccontava che si erano riuniti sotto le sue finestre una decina di uomini, che invitavano Giuseppe (questo era il nome del Sagrestano) a scendere al piano terreno, altrimenti avrebbero sfondato la porta.
Il Sagrestano affacciato alla finestra, prima li invitò a far piano perché aveva i figli piccoli a letto, poi li invitò ad andarsene. Infine, visto che non intendevano con le buone, disse: “Ora scendo”, facendo precedere la breve frase da una quindicina di bestemmie. Nello stesso tempo sbatté le finestre in modo così violento – riferiva il Putrì – che non soltanto caddero giù nell’aia, vetri e telai delle finestre sbattute, ma anche gli infissi del piano terra. Arrivato giù, in mutande, non c’era nessuno ad attenderlo.