Il convento dell’Angelo a Tramonte
Venendo dalla Garfagnana, in prossimità di Ponte a Moriano vediamo in alto, sulla sinistra, in mezzo ad un verde intenso, un edificio bianco, imponente, dalle classiche forme rinascimentali. Se lo chiediamo al nostro compagno di viaggio, ammesso che sia lucchese, certamente ti dirà che quello è il Convento dell’Angelo di Tramonte, o Collegiata di San Michele, ma più di lì, non andrà.
Eppure è un edificio ammirato, antico e di nobili natali.
Il primo documento che ne parla, risale addirittura al 782 d.C. Molto tempo dopo, nel secolo XVII, i monaci che l’abitavano furono costretti ad abbandonarlo perché i continui cedimenti del terreno lo avevano reso del tutto insicuro. Per riadattarlo e renderlo della consistenza come lo vediamo oggi, fu l’architetto Lorenzo Nottolini che vi mise mano nel 1827 su incarico di Carlo Ludovico di Borbone, duca di Lucca. Il luogo era oltremodo ammaliante per la pace che sapeva infondere e per la sua panoramica ubicazione che avrebbe conquistato chiunque.
Finita l’opera, nel 1830, ne presero possesso, come stabilito dal duca di Lucca, i Padri Passionisti e il duca stesso che si era riservato all’interno dell’edificio un piccolo appartamento.
Dopo appena dodici anni, i religiosi dovettero far intervenire di nuovo l’architetto per problemi di smottamento del terreno. Problemi che furono definitivamente risolti con il rinvenimento a 18 metri di profondità di un provvidenziale masso che fu usato per dare stabilità ai fondamenti.
Le porte di quel convento furono sempre aperte per i poveri che ogni giorno si presentavano per mangiare; ai benefattori che permettevano di far funzionare quell’ospizio di mendicità.
Fu anche un seminario per i tanti giovani che, specialmente sulla metà del secolo XIX intendevano diventare missionari.
I Padri Passionisti del convento dell’Angelo erano ricercati per le spettacolari prediche quaresimali e per le Missioni. Si presentavano sempre in due nelle parrocchie, vestiti come i pinguini: veste bianca e sopra un mantello nero aperto sul davanti. Si presentavano in coppia, perché in chiesa dovevano fare un contraddittorio, uno (l’eretico) da un pulpito e l’altro (il santo) dall’altro. Queste schermaglie dialettiche appassionavano tanto i fedeli che le chiese erano gremite e non c’era persona che alla fine del triduo di prediche non si confessasse e si comunicasse.
Anche prima del suo restauro, in particolare nel basso Medioevo, il convento dell’Angelo era mèta di continui pellegrinaggi. Ci risulta che Santa Zita ogni venerdì salisse a piedi al convento, per pregare.
Neanche, poteva mancare un miracolo. Sul finire del 1460, vi fecero ingresso brigate pistoiesi e vi appiccarono il fuoco. Nei pressi della foresteria cadde tra le fiamme un disegno su legno raffigurante l’Arcangelo San Michele. Il fuoco arse per tutta la notte, ma il quadro non bruciò.
Questo monastero, che resta una delle opere più belle di Lorenzo Nottolini, oggi è sede dell’Accademia musicale di Montegral, dove convergono da tutto il mondo giovani musicisti.
12 Commenti. Nuovo commento
Grazie per l’informazione. Ho sempre provato a sapere cosa era, e anche provato ad andare vicino, senza mai trovare la strada. Spero potere andare la fine della pandemia.
Grazie per l’informazione. Ho sempre provato a sapere cosa era, e anche provato ad andare vicino, senza mai trovare la strada. Spero potere andare a la fine della pandemia.
Molto interessante. Sono notizie storiche che il nostro patrimonio artistico lucchese possiede e che tutti non conoscono ma che invece è bello conoscere per tramandare.
Grazie Giampiero, vedo da sempre questo Monastero…ma non ci sono mai stata….è interessante quello che ho letto.
Capita spesso, specialmente dalle nostre parti, vedere cose interessanti, riprometterci di visitarle e poi per una ragione o per l’altra, le dimentichiamo. Sono contento che questo mio post sia servito almeno a te, a Umberto Stefani e a Ernesto Angeli a farvele ritornare alla mente.
Anch’io sono sempre rimasto estasiato alla vista di questo capolavoro, ma nonostante i due tentativi effettuati, non sono mai riuscito a raggiungerlo.
Propongo una gita/pellegrinaggio, capeggiata da te , caro Giampiero; in cambio mi offro di portarti lo zaino (e la merenda).
Un abbraccio
Orlando
Sarò ben lieto di farlo. Me riparleremo dopo il Covid 19.
Sono rimasta affascinata dal Padre Eretico e dal Padre Santo e credo che tutt’oggi avrebbero un grande effetto per la conversione di tutti, che intelligenza e sentimento acuti avevano. Bellissima questa storia.
Erano prediche-spettacolo, molto gradite al popolo dei fedeli e non soltanto. La gente s recava per tempo in chiesa in modo da assicurarsi le panche più prossime ai due pulpiti.
caro gian,’ mi hai rimesso alla memoria le gite che ci si facevano quando eravamo aspiranti,e mi rocordo anche quello che mangiai, un bel fritto di zucchini fritti che la mi sorella Fedora mi aveva preparato.Bei tempi!! dopo il pranzo ,attraversando la vallata si andava alla croce di Brancoli…ecc ecc. grazie a questo tuo memoriate mi ai riportato alla mia gioventù.
Io conservo ancora diverse foto di quel luogo e di quei giorni. Quando si partiva per andare all’Angelo, mi sembrava di andare all’estero, dato che il nostro mondo finivano alla Fossanova.
Caro Gianpiero,
ho avuto modo di constatare quanto la coppia di “passionisti”,che andavano nelle chiese del contado a fare le “missioni”, fosse dotata di vis scenica e ,oserei dire, teatrale nella dialettica contrapposizione cui davano vita per i temi trattati e di come l’uditorio seguiva i due monaci a bocca aperta .L’indomani, nelle corti, sarebbe stato tutto un chiacchiericcio e uno sproloquiare sulla “rappresentazione” della sera prima :e così andava per otto-dieci giorni ,quanto durava la missione. Erano i primi anni ’50 del secolo scorso, abitavo a s.Ginese e qui ,come altrove ,a perenne ricordo di questo evento eccezionale (non c’era ancora la tv da andare a vedere ,sempre dopo cena, al bar del paese!) si poneva ,con solenne cerimonia ,nei
punti più impensati della campagna :di solito all’incrocio di più strade ,una grande croce di ferro con tutti i simboli della Passione .
Queste croci tuttora esistono e resistono al tempo e caratterizzano il paesaggio della Lucchesia. Si perchè ,che io sappia, questa delle “missioni” è stata una peculiarità di Lucca e dei suoi paesi .Con questa idea ho attentamente osservato i luoghi, anche in province vicine a Lucca ,ma non c’è traccia (le croci) del passaggio delle” Missioni” .