Il pane dei morti
Fino alla metà del secolo scorso, come si nasceva in casa, si moriva in casa, quasi a completare il cerchio della vita. La salma, lavata e ricomposta fra quattro ceri, occupava il centro della stanza, esposta alla pietà dei paesani. Veniva vestiva con cura, perché così avrebbe dovuto presentarsi al Creatore nel giorno del Giudizio.
Il più delle volte, non calzava scarpe o perché non le aveva o perché, se c’erano, con quello che costavano, sarebbe stato davvero un peccato non passarle ad altri. Il morto, assumeva così un aspetto solenne, in quella cassa di legno. Le mani venivano legate da un rosario e i piedi indossavano calzini grigi, di lana grossa, tenuti uniti da una spilla americana.
Dal momento del decesso a quello della sepoltura doveva passare un tempo minimo di quarantotto ore se la morte era stata improvvisa. Soltanto ventiquattro, invece, se si trattava di un decesso conseguente a malattia. La sera precedente il funerale, vicini e conoscenti si riunivano a casa del defunto per pregare; poi restavano a vegliare la salma fino al mattino, due o più persone.
In alcuni paesi delle nostre montagne, come Corfino e Vico Pancellorum, era in uso, il giorno del funerale di distribuire il così detto ‘pane dei morti’. Comportava di certo un notevole sforzo economico quello cui si sottoponeva la famiglia nel procurare il pane e le candele per chi interveniva, ma lo si faceva volentieri, per dar seguito ad una tradizione che aveva come unico scopo quello di onorare il defunto.