La peste bubbonica fece strage in Lucchesia
La peste bubbonica comparve nel 1629, introdotta – pare – dalle truppe lanzichenecche dell’imperatore Ferdinando II, disceso in Italia per l’assedio di Mantova. Fu veicolata dalle pulci e colpì in particolare la parte settentrionale della nostra penisola, causando, tra il 1630 e il 1631, ben 1.100.000 morti, su una popolazione complessiva di circa 4 milioni. Quasi nelle stesse proporzioni colpì la Lucchesia. Del tutto indenne fu il borgo di Montecarlo che seppe, per tempo, vigilare sulle uscite e chiudere l’ingresso agli estranei. La popolazione di Porcari costituita da 1.200 anime nel 1583, risultò ridotta a 720, alla successiva visita pastorale del 1651.
Fece “il suo ingresso nel territorio lucchese proprio dalla via Romana, attraverso il contagio di un viaggiatore proveniente dal Granducato e deceduto nella locanda di frontiera del “Turchetto”, locanda attiva fin dal 1476 …”[1].
A Lucca, le prime zone ad essere colpite furono San Concordio e Pontetetto, ma ben presto il morbo si diffuse in città. Dal manifestarsi della malattia, sopraggiungeva la morte dopo uno-due giorni. Si capì immediatamente la gravità di tale epidemia e tutti ne ebbero terrore; perfino i medici che in parte si nascosero, in parte si dettero per malati e, parte, addirittura dissero di non essere tali.
Interessante è scoprire le misure che furono prese, a quel tempo, per debellarlo.
Innanzi tutto, Commissari speciali di sanità furono inviati a Viareggio per sorvegliare gli sbarchi; così come a Gallicano e Montefegatesi per limitare gli ingressi nel territorio lucchese, sottoponendo le persone a quarantena, a meno che non presentassero idonea certificazione sanitaria. Furono dettate regole per migliorare la nettezza urbana ed intensificata la sorveglianza per l’attuazione di tutte le prescrizioni. Fu data “facoltà agli Anziani di condannare a qualunque pena chi contravvenisse agli ordini stabiliti, proibendosi di ricevere le merci, da qualsiasi parte provenissero, se prima non passavano per le mani di appositi profumatori”[2].
Fu eretto anche un ospedale per i colpiti dalla peste, nei pressi della città, obbligando i medici a curarli sotto pena di gravi multe se vi avessero rinunciato. Ogni capo famiglia doveva denunciare immediatamente chi dei familiari fosse stato colpito dal morbo, ad evitare la comminazione di pene severissime. Gli appestati, non ricoverati, dovevano essere separati dai loro familiari e rinchiusi in casa dall’esterno, in modo che non potessero uscire. Sarebbero stati forniti del necessario dai “provvigionieri” e gratuitamente, se miserabili.
Con il diffondersi del morbo, la paura cresceva così si vietò il commercio fra cittadini, e si consentì l’uscita di casa, ai soli capi di famiglia, agli impiegati pubblici, ai reggitori dello Stato, alle levatrici e agli “artieri” della seta. Fu chiusa porta San Donato. Furono limitate le funzioni ecclesiastiche e il Vescovo Alessandro Guidiccioni, impartì precise istruzioni ai parroci sul modo d’amministrare i sacramenti agli appestati. Non mancarono, preghiere, processioni, digiuni e voti affinché Madonna e Santi intervenissero per fermare il contagio.
Come si può constatare, le misure poste in atto oggi per debellare il Covid, sono rimaste presso a poco le stesse di quattrocento anni fa.
[1] Claudio Rovai-Giampiero Della Nina, “Porcari, Origini e storia di una comunità”.
[2] Florio Santini, “Mosaico Lucchese”.
6 Commenti. Nuovo commento
l’ospedale, lazzaretto, fu senz’altro quello costruito presso l’attuale chiesa di san Lazzaro in san Concordio.
Proprio così Gain Paolo. Quella zona si chiamava San Lazzaro.
Veramente a me risulta che già nel 1232 si fa cenno al lebbrosario di San Lazzaro
Esiste un bello studio di Roberta Antonelli sul lebbrosario di San Concordio, dove si legge che la prima notizia che si ha del lebbrosario risale appunto al 1232.
Sempre dallo stesso studio risulta che l’edificio fu completamente distrutto e bruciato nel 1433, a seguito dell’assalto dei fiorentini. Fu riedificato qualche anno più tardi e, da un documento del 1548 risulta che il complesso era costituito “da una corte con la chiesa di San Lazzaro e le case per i poveri con cortile murato e una casa separata per il rettore e altri con più stanze, con pozzo e orto”.
E’ probabile che dopo 200 anni dalla ricostruzione, e quindi nel 1630, ai tempi della peste l’ospedale avesse bisogno di un ristrutturazione e certamente anche di un ampliamento, considerato che il gran numero degli “appestati” andava ad aggiungersi agli altri ammalati. Ecco perché si parla in altro documento di “erezione”, non nel senso di erigere dal nulla ma nel senso di aggiunta di un manufatto ad altro esistente.
I reperti neurologici di Badia Pozzeveri, poco a sud del Turchetto, via Francigena, hanno un qualche riferimento a questa pandemia?
..necrologi…