L’albero della cuccagna
Qualcuno di voi ricorderà quei bei tortelli ciccioni, rotondi, disegnati con il bicchiere da cucina e sigillati per l’intera circonferenza, con la pressione della forchetta. In Lucchesia erano conosciuti come “tordelli” ed erano i simboli gastronomici del Carnevale. Di norma, comparivano sulle tavole il giorno del giovedì grasso. Spesso si ingaggiavano gare a chi più ne mangiava e si arrivava a contarne 30-35 ed anche 40, a testa. Così strabuzzati e quasi tramortiti, ci si alzava da tavola, per partecipare alla festa.
Non c’erano costumi da indossare, ma roba inservibile e ormai dismessa, conservata proprio per il travestimento del Carnevale: cappellacci sfondati, pantaloni strappati e tagliuzzati, del tipo di quelli che vanno oggi di moda, per ricambiarsi la domenica. Zoccoloni allo stremo, dai quali, calzati, doveva far capolino almeno il pollice. Così travestiti, si accedeva alla piazza del paese, dove era stato eretto l’albero della cuccagna.
A Lucca, usava sistemarlo nel Prato del Marchese (poi piazzale Verdi). Era questo un palo, con alla sommità, una ruota di barroccio, ai raggi della quale pendevano salami, prosciutti, metri di salsicce, biroldi, mezzine, fiaschi di vino, ma anche forme di formaggio e buccellati. Una vera cuccagna, insomma, per chi li poteva raggiungere.
Parlando di “cuccagna”, ci viene in mente il paese dell’abbondanza, dove tutto è buono ed a portata di mano, e dove la vita scorre lieta e spensierata. In questo caso però, questo ben di Dio, non era esattamente a portata di mano. Il palo era alto 4 o 5 metri e, peggio, era stato spalmato di grasso ed appariva unto come il “calderon dell’Altopascio”, raccontato dal Boccaccio.
Dopo una fatica immane, si raggiungeva magari i due o tre metri e poi si precipitava giù, a rotta di collo. Il primo veniva sostituito dal secondo gareggiante e poi dal terzo e così via. Finalmente qualcuno dopo tanti tentativi arrivava in cima, si aggrappava alla fila delle salsicce, ma sporgendosi troppo, precipitava a terra, dai cinque metri, con il rischio di finire in ospedale.
Mano a mano che passava il tempo e dopo i vari tentativi, il palo si “sgrassava”, e diventava un po’ più facile arrivare in cima ed aggredire la preda.
Quasi sempre malconci, ma felici, si tornava a casa all’imbrunire, mostrando in aria il bottino, come un trofeo.
2 Commenti. Nuovo commento
Mi ricordo quando mia madre e mia nonna facevano i tortelli proprio così con il bicchiere da caffè e chiusi con la forchetta. Bisognava stare attenti a non forare la pasta con le punte della forchetta altrimenti al momento della cottura il pieno andava nel fondo della pentola. Sono anni che vorrei provare a rifarli ma qui nella RD mi mancano le materie prime. Peccato.
Evidentemente quella di chiudere i tortelli con la forchetta era una faccenda che si lasciava ai ragazzi. Ricordo che anch’io l’ho fatto e mi piaceva un mondo.