Le merende nel giorno del “Pellegrino”
Quello che gli altri chiamano “Pasquetta”, o “Lunedì dell’Angelo”, per noi lucchesi è il giorno del “Pellegrino”. C’è chi dice che sia stato attribuito tale appellativo a questo particolare lunedì, perché ai tempi delle Crociate, nel giorno dopo Pasqua, i pellegrini-guerrieri partivano per la Terra Santa.
Andavano a seminare morte e distruzione allo scopo di imporre la propria fede ed il proprio dio agli “infedeli”. Il punto d’incontro era la loggia del duomo di San Martino a Lucca, da dove, una volta attruppati, muovevano il passo.
Per altri invece, l’appellativo “pellegrino”, avrebbe un’origine ancora più remota, e risalirebbe all’alto medioevo, quando ancora si parlava un latino di seconda mano. Deriverebbe da “ire per agros”, e cioè “andare attraverso i campi.
Se ben ci pensiamo questa derivazione è quella che più si avvicina a quanto, qui da noi, si usava fare, fino a qualche anno fa, nel giorno dopo Pasqua: uscire fuori casa, dove lasciare i pensieri, e andarsene per i campi.
In ogni paese c’era una zona ben definita da raggiungere, dove incontrare gli amici per consumare una merenda, all’aria aperta.
Le mète dei Lucchesi
I Lucchesi-dentro raggiungevano i prati lungo fiume, che a quei giorni erano coperti di margherite. I Porcaresi salivano sulla Torretta per poi inoltrarsi nel bosco e guadagnare la sua ombra protettiva ed i suoi profumi.
A Bagni di Lucca, il lunedì dopo Pasqua era conosciuto come il giorno della ‘merendella’, mentre a Partigliano era quello del ‘merendino’. Possono cambiare gli appellativi ed i nomi delle località dove si trascorrerlo, ma per tutti i lucchesi quello è il giorno della gitarella spensierata fuori porta.
Il ruzzolino e la pisalanca
I ragazzi giocavano ‘a ruzzolino’ con le uova sode. Vinceva chi riusciva a lanciarle più lontano senza romperle o arrivare per primo al traguardo, con il cucchiaio in bocca, contenente un uovo.
I Viareggini raggiungevano le pinete per celebrare la festa della ‘pisalanca’. La pisalanca, in gergo versiliese è l’altalena. Un tempo, in quel giorno, le pinete si riempivano di bambini accompagnati dai loro genitori, i quali muniti di due solide corde le passavano sui rami più robusti. In basso, le collegavano ad una asticella-sedile dove il bambino prendeva posto per farsi dondolare. Anche i genitori approfittavano di quella opportunità per riprovare l’ebbrezza del volo e rivivere i momenti più spensierati della fanciullezza.
Anticamente con il termine “altalena” si intendeva un altro gioco descritto nei Fioretti di San Francesco. Si legge:
“Andando una volta Frate Ginepro a Roma, dove la fama della sua santità era già divulgata, molti Romani per grande divozione gli andarono incontro … Erano ivi due fanciulli, che facevano all’altalena, cioè che aveano attraversato un legno sopra un altro legno, e ciascheduno stava dal suo capo, e andavano in su e in giù. Va Frate Ginepro, e rimuove uno di questi fanciulli dal legno, e montavi suso e comincia ad altalenare. Intanto giugne la gente, e maravigliavansi dell’altalenare di Frate Ginepro: nondimeno con grande divozione lo salutarono, e aspettavano che fornisse il giuoco dell’altalena, per accompagnarlo poi onorevolmente insino al convento”.
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Una delle mete era “Lo Zoppino”, quella zona collinare sopra Pontetetto.
Vero. La ringrazio per la precisazione
io abitavo a due passi da Lo Zoppino, nel parco di Villa Rossi, e me lo ricordo benissimo grazie
Sono io a ringraziare te per la precisazione.