Lo sciabigotto lucchese
Sciabigotto è un bonario epiteto lucchese dal significato indefinito. E’ un vocabolo multiuso, usato quando, sottomano, non si trova qualcosa di più appropriato da impiegare. Si dice solitamente di persona che ha poche idee, ma in compenso molto confuse. In ogni caso non vuol essere troppo offensivo.
In un tono affettuoso si può dire al ragazzino che ne ha combinata una delle sue, ma anche all’amico che non ha saputo approfittare di una occasione, o che ha fatto un’uscita che avrebbe potuto risparmiarsi.
Quanto sia indefinito il significato di “sciabigotto” lo capiamo anche da come viene impiegato dal nostro poeta dialettale Gino Custer de’ Nobili:
E quando voi trattare uno ammodino
invece che di darli del cretino
lo chiami sciabigotto e che la smetti!
Il Pieri lo fa derivare da “sciabica”, mentre Idelfonso Nieri propende per la contaminazione di “sciapito e bigotto”. Iberico Gianni, nel suo “Vocabolario Viareggino” è della stessa opinione del Pieri e ne spiega il motivo: il pescatore di sciabica, è “… uomo di mare che non naviga più, ormai capace solo di pescare con la sciabica”. Questa è un tipo di pesca che si fa a poca distanza dalla spiaggia con una rete che viene tirata a riva a forza di braccia. Per estensione, è persona che si deve contentare di quello che può fare, ma non se ne lamenta.
Ancora Gino Custer de’ Nobili impiega “sciabigotto” all’indirizzo di una guardia di città che fa un’osservazione quanto mai inopportuna ad un cittadino:
Una sera, una guardia di città
mi venne fistiettando a fa’ un bisogno
propio lì sotto; e per appunto avevo dato
un’innacquatona allora allora.
Si voltò ‘n su:
-Lo sa léi, ch’è prebito mescer dell’acqua?
-Che?
-Contravenzione!
-Mi fa ride’ -ni dissi-
-O léi, li’ al muro che fa, mesce del Chianti? Sciabigotto!”
Altra occasione per impiegare con proprieta’ “sciabigotto”, ce la offre il falso modesto, corrispondente a colui che Ennio Flaiano definirebbe “l’afflitto da un complesso di parità”. Questo personaggio che sta in mezzo fra chi soffre del complesso di superiorita’ e chi e’ affetto da quello di inferiorita’, non si sente inferiore a nessuno.
Sentiamo come si esprime, per luoghi comuni, la persona che soffre di un complesso di parità, in questa applicazione di Gino Custer De Nobili:
Io nun sò legge goccia né so scrive,
ma ho un po’ di cervellaccio, grasie a Dio:
tutti ‘nder mondo s’ha diritto a vive.
Lo so, chi ‘ampa a ciccia e chi a pancotto,
ma…o donca, che faresto! Perché io
le rifretto, le ‘ose…”
Una voce: “O sciabigottooo!”
Nella foto: Chiesa di San Michele a Lucca