Lucca impazzì per lei.
Maria Malibran, una creatura meravigliosa. Era lucchese?
Ai nostri concittadini, dovette sembrare veramente folle che la più grande cantante del secolo, una voce leggendaria, come veniva definita Maria Malibran, non si esibisse al Giglio, il terzo tempio della musica dopo la Scala di Milano e il San Carlo di Napoli.
Tutta colpa del direttore del teatro, che la Natura aveva dotato di un braccio troppo corto nel dare. Tirchio? No: di una parsimonia preoccupante e poco propenso al rischio. La Malibran era reclamata da tutti i teatri d’Italia e secondo la legge del mercato, il suo ingaggio si discostava, ovviamente, da quello dei comuni mortali. Ma quella voce era immortale ed i Lucchesi non intesero arrendersi e così cambiarono direttore del teatro. Questi, per celebrare degnamente il Settembre lucchese, non soltanto ingaggiò la divina cantante, ma mise in cartellone un numero assai maggiore di opere.
Maria Felicitas García Sitches, nata a Parigi il 24 marzo 1808, si chiamò più brevemente Maria Malibran dopo il matrimonio, con il banchiere Francois Eugene. Lei aveva diciotto anni e lui era di 27 anni più anziano. Fu un matrimonio senza amore, voluto, sembra, dal padre di lei, allettato dalla promessa di una importante somma di denaro. Francois Eugene Malibran fallì in quello stesso anno, e fallì anche il matrimonio. L’anno successivo la cantante lasciò New York e se ne tornò in Europa.
A Lucca arrivò il 14 agosto del 1834 ed aprì la stagione il giorno 16, con “I Capuleti e i Montecchi”, opera del maestro Vincenzo Bellini. Nei giorni successivi seguirono “La Sonnambula”, l’”Esule di Roma”, “Il barbiere di Siviglia”, l’”Otello”, la “Norma”, la “Semiramide” ed altre ancora con numerosissime repliche.
A sentire la Malibran, oltre alla Duchessa Maria Luisa, a Carlo Ludovico e sua moglie, figlia di Vittorio Emanuele I, non soltanto c’era tutta Lucca ma tantissime persone che venivano da fuori. Furono contati 4.612 forestieri che occuparono tutte le stanze di albergo presenti in città e sovraffollarono, caffè, ristoranti, trattorie, osterie e mescite. Fu una pacchia per tutti i commercianti lucchesi, quel mese in cui rimase la Malibran a Lucca.
All’indomani della sua prima esibizione al Giglio, così scriveva il “Giornale privilegiato”: “ …fa scendere al cuore la taumaturga sua voce. La celebrità della somma artista … ci dispensa di qui ripetere quegli elogi che a tutta ragione le sono stati ovunque tributati … Non sapremmo poi dire se più rapisca ed incanti la grata e rara sua voce, o più sorprenda e trasporti la squisitezza della sua mimica. Degno compenso a tanti meriti sono gli strepitosi, continui ed unanimi applausi che ella riceve …”
Si dice che cantasse “ … abitualmente in una tessitura compresa tra il sol naturale grave e il mi naturale sovracuto, ma era capace di scendere al re grave, e svettare al fa sovracuto, abbracciando un’estensione di oltre tre ottave …”
Quando cantò l’”Otello” di Rossini, il teatro, strapieno, “…era addobbato sfarzosissimamente. In ogni palco, festoni di verde e corone di fiori. Era pure presente la Corte e tutti i personaggi più in vista. La giovane venticinquenne, che Teofilo Gautier definì la più straordinaria incarnazione del lirismo, col suo canto divino tocca tutti i cuori, le manifestazioni di letizia e d’esultanza erompono ad ogni pezzo. Alla fine dello spettacolo, quando la diva esce per far ritorno all’alloggio, è il turbine delirante che la festeggia e la investe. Il popolo non permette che la carrozza sulla quale è salita venga tirata dai cavalli: i cavalli sono staccati ed il veicolo viene trasportato dalla folla fremente. Mille torce illuminano il trionfale tragitto: giunta all’abitazione, deve più volte comparire al balcone. Ma la dimostrazione non cessa. Interviene anzi un nuovo incentivo: sopravvengono tutti i coristi con gran parte dell’orchestra. Canti quindi di pezzi d’opera ed inni di omaggio. La Malibran è commossa…”.
Fu invitata a cantare anche per il settembre dell’anno successivo, 1835. In quei giorni, purtroppo, scoppiò una epidemia di colera; le porte della città furono prontamente chiuse ai forestieri, così i malati a Lucca si poterono contare sulle dita di una mano, ma la stagione lirica, com’è facile immaginare, si risolse in un disastro.
La Malibran si sposò nel marzo dell’anno successivo con il celebre violista Carlo Augusto de Beriot, con il quale conviveva da qualche anno e, a settembre, morì a Manchester, appena ventottenne, per le conseguenze di una caduta da cavallo.
Dopo la sua morte, Lucca fu scossa da un entusiasmante interrogativo: Maria Malibran, era lucchese?
Giambattista Morganti, scriveva nel 1839 che “… se si dovesse prestar fede … alle asserzioni di persone di conosciuta probità”, si dovrebbe concludere che luogo di nascita di Maria Malibran non fosse Parigi, bensì San Lorenzo alla Cappella, in territorio lucchese. Che suo padre fosse Francesco Paolinelli, detto “il Pampinaro”, il quale, rimasto vedovo vendette la piccola Domenica Carmina (questo era il vero nome di Maria) a Manuel Garcia di Siviglia, musicista.
4 Commenti. Nuovo commento
Grazie di questa perla forse a molti come a me sconosciuta.
Avrei voluto riportare aneddoti e storie varie su Maria Malibran, che l’avrebbero fatta conoscere meglio a tutti, ma l’articolo diventava troppo lungo e non sarebbe piaciuto ai Lettori. Capiterà, di certo, l’occasione di riparlare di lei, della sua generosità e intraprendenza.
Grazie infinite! Pur essendo amante della Lirica, non conoscevo questa storia. Sapevo solo della carrozza trainata a braccia.
Grazie a te.