L’ultimo viaggio di Giacomo Puccini
Quando partì da Lucca per Bruxelles, Giacomo Puccini non avrebbe mai pensato che quello sarebbe stato il suo ultimo viaggio. A parte il mal di gola che lo tormentava da qualche mese, per il resto era in perfetta forma. Non aveva compiuto ancora i sessantasei anni e gli restava ancora molto tempo da vivere. Nella clinica belga, avrebbe ricevuto una cura del tutto nuova e di sicura efficacia: un trattamento di radioterapia dopo un breve intervento chirurgico.
Avrebbe potuto tornare a guidare la sua automobile, alla scoperta di quei luoghi suggestivi, che non aveva ancora visitato, nel “Paese dei bei paesi”, come amava definire l’Italia. E tornare a lavorare.
Di Puccini, sappiamo quasi tutto, perché su questo grande artista nostrano sono state raccolte centinaia di testimonianze e scritti una miriade di libri.
E’ conosciuto in tutto il mondo. Si sofferma su questo aspetto anche il nostro poeta dialettale Custer De Nobili:
“Un giorno ch’ ero in Cina, un brutto seme
disse mal dell’Italia e un popo’ doppo
andette via… fistiando la Boheme!”
Sappiamo dei suoi amori per la musica e per le donne, delle sue passioni per le auto, per il nuoto, per le sigarette ed i sigari toscani. Forse è meno nota la sua sensibilità per il mondo degli emigranti.
Non si stancava mai di ascoltare le loro storie e di riferirle. La commozione che avvertiva nell’ascoltarle, era ricambiata dall’affetto che gli emigranti gli tributavano. Lo consideravano, forse, il vendicatore di tante umiliazioni che erano costretti a subire in una terra di altri, dove si erano dovuti recare, alla ricerca di lavoro, fortuna, maggior benessere.
Nel primo atto de “La fanciulla del West”, dà voce alla loro nostalgia per le famiglie lontane.
“Che faranno i miei vecchi,
là lontano, là lontano,
che faranno, tristi e soli,
i vecchi miei piangeranno,
penseranno che io non torni più …”
Puccini racconta di aver visto una sera a Londra un ragazzino con un grande canestro pieno di statuette di gesso, seduto al bordo di un marciapiede. Teneva la testa tra le mani, forse pensando ai genitori lontani, e anche scoraggiato per non aver venduto abbastanza.
Il Maestro, sicuro che fosse un ragazzino di Bagni di Lucca, o di Coreglia, gli si avvicinò piano piano, alle spalle e senza essere visto, gli disse ad alta voce:
“O sciabigotto!”
Lui si voltò di scatto e rispose: “O pa’!”
Poi abbracciò il Maestro, come uno di famiglia.
Giacomo Puccini, non sopravvisse all’operazione. Morì il 29 novembre 1924: era di sabato.
Quella sera a Roma, si rappresentava la Boheme. Ne fu data notizia ad un pubblico incredulo. La rappresentazione fu interrotta e l’orchestra principiò a suonare la marcia funebre di Chopin.
7 Commenti. Nuovo commento
Che bello leggere tutte queste cose…Grazie
Grazie per la tua fedeltà nel seguirmi.
Grazie Giampiero per queste fantastiche notizie. Ogni volta è come scartare un regalo…….
L’ attenzione e la sensibilità di Puccini per il mondo degli emigranti è collegata anche ,se la memoria di letture fatte qualche decennio fà non mi inganna ,al ricordo sempre presente nella sua mente del fratello maggiore emigrato per lavoro in Sud America e colà prematuramente morto senza aver fatto fortuna.
Hai ragione. Il fratello Michele emigro in Brasile dove ebbe una vita assai movimentata. Dovette fuggire dalla citta’ di Jujui per rifugiarsi a Rio de Janeiro dove mori il 12 marzo 1891 per aver contratto la febbre gialla. *Scusa gli accenti ma in questo momento la mia tastiera non mi permette di piazzarli.
Ma sei sicuro che sia partito da Lucca o da Viareggio ,dalla sua villa del Mar
co Polo?
No. Non sono sicuro. Prima della partenza per Bruxelles, Puccini è stato a Milano, Roma, San Remo, Firenze, Lucca, Viareggio. Nessuno dice dove fosse esattamente il giorno in cui partì per Bruxelles. Io ho scritto Lucca perché di norma quando ci si reca in un ospedale si parte da casa. Comunque non ho dato eccessiva importanza alla cosa sembrandomi del tutto irrilevante il luogo di partenza.