Mario Tobino: una vita in manicomio.
Mario Tobino, secondo di quattro figli, nacque a Viareggio nel 1910, come ieri, 16 gennaio. Da ginnasiale fu espulso da scuola, per cui i suoi, nel tentativo di contenere la sua esuberanza lo spedirono in un collegio di Collesalvetti. L’anno successivo lo troviamo a frequentare il liceo a Massa, e qualche anno dopo, lo incontriamo a Pisa a dare la maturità da privatista. Ama leggere Dante, Macchiavelli e i classici latini, quindi è decisamente portato per gli studi umanistici, tuttavia si iscrive all’Università alla facoltà di medicina. Durante il corso di studi scrive alcune poesie e racconti che pubblica su riviste letterarie. Si laurea nel 1936 all’Università di Bologna.
Appena laureato, viene chiamato ad assolvere il servizio militare. Tornato a casa, a Bologna, si specializza in neurologia, psichiatria e medicina legale, e incomincia a lavorare all’ospedale psichiatrico di Ancona. Allo scoppio della Seconda Guerra viene richiamato e spedito in Libia, da dove ritornerà, ferito, nel 1942. E’ proprio in questo anno in cui pubblica “Il figlio del farmacista”, una sorta di autobiografia scritta in terza persona. E’ il libro che dà inizio alla sua attività di scrittore che concilia brillantemente con quella di psichiatra, svolta prevalentemente all’ospedale di Maggiano di Lucca.
Nel 1951, pubblica “Il deserto della Libia”, frutto della sua permanenza da militare in quella terra. Da questo libro saranno tratti due film: “Scemo di guerra” del 1985 diretto da Dino Risi e “Le rose del deserto” del 2006, diretto da Mario Monicelli. Nel 1962, vince il premio “Strega” con il romanzo “Il clandestino”, ispirato alla sua militanza nei reparti della Resistenza antifascista. E poi nel 1972 il “Campiello” con il romanzo “Per le antiche scale”; nel 1976 il “Viareggio” con “La bella degli specchi”.
La sua produzione letteraria è stata notevolissima e molti sono i film tratti dai suoi romanzi.
In occasione della riedizione di un suo libro di grande successo, “Le libere donne di Magliano”, nel 1963, volle precisare: “Scrissi questo libro per dimostrare che i matti sono nature degne d’amore, il mio scopo fu ottenere che i malati fossero trattati meglio, meglio nutriti, meglio vestiti, si avesse maggiore sollecitudine per la loro vita spirituale, per la loro libertà”.
Si rendeva conto, con profonda amarezza che spesso si faceva il vuoto intorno al malato di mente, che spesso chi entrava in manicomio non ne faceva più ritorno e, peggio, che perfino i familiari si vergognavano di lui, condannandolo così alla più angosciosa delle solitudini. Per questo Mario Tobino, cercava di compensare con il suo amore, la sua dedizione, la sua presenza questa solitudine, rimarcando “che la sua vita era lì, che i pazzi erano i suoi simili”.
Fu contrario alla chiusura dei manicomi realizzata in seguito alla Legge Basaglia del 1978, sostenendo che con tale provvedimento, non si sarebbe curata la “pazzia”. Aggiungeva: “La cupa malinconia, l’architettura della paranoia, le catene delle ossessioni esistono anche se si chiude il manicomio”.
Inoltre si opponeva alla legge Basaglia, perché trovava ingiusto scaricare il peso di questi ammalati sulle famiglie: ne avrebbero sofferto, ancora una volta, quelle meno abbienti.
Personalmente, non posso fare a meno di rilevare in Tobino psichiatra, una certa contraddizione con sé stesso. Lamenta l’isolamento degli ammalati di mente, parla della loro condanna a restare per sempre nella struttura manicomiale, una volta entrati e poi si schiera così decisamente fra gli oppositori di una legge ispirata al tentativo di restituire dignità a questi ammalati e speranza di poter essere reinseriti in quella società che li aveva ingiustamente, allontanati.
Tobino non si sposò mai, ma ebbe una fedele compagna in Paola Olivetti che gli restò accanto fino alla morte avvenuta l’11 dicembre del 1991 ad Agrigento, dove era andato per ritirare il Premio Pirandello .
Alla distanza di tanti anni dall’emanazione della Legge Basaglia, si può sicuramente dare un giudizio sulla stessa: fu quella una buona legge? Riaprireste oggi i manicomi?
Parliamone.
3 Commenti. Nuovo commento
No ..pero’ veramente seguite le persone con disagio ed scarso equilibrio mentale …ma non solo su loro richiesta , perche’ purtroppo chi ha bisogno , non lo richiede !😢
Caro Gianpiero,
la posizione di Tobino sulla chiusura dei manicomi e la sua conseguente negativa valutazione della legge Basaglia era dovuta al grande amore ed alla grande cura ed attenzione che riversava sulle sue malate (era, come è noto ,il direttore della sezione femminile di Maggiano) che lo portava a pensare che se in tutti i manicomi si fosse operato come lui con i malati, questi, nell’ospedale psichiatrico avrebbero avuto un luogo di tutela ,protezione e alleggerimento delle turbe che obnubilavano la loro mente.
Questa ,purtroppo era una illusione che non faceva vedere in tutta la sua drammaticità a Tobino la realtà dei manicomi in Italia, che pure conosceva, dove ,più che cura l’ammalato di mente lo si lasciava,nella maggior parte dei casi, scivolare pian piano ,con l’aiuto degli psicofarmaci , verso un irreversibile zona di dissolvimento della mente.
E tuttavia la domanda che talvolta mi pongo è: che fine fanno ,adesso ,le persone ,ancorchè non più inchiodate nei manicomi , che si dibattono nella spessa coltre di “cupa malinconia” ,ingabbiate in una terribile “architettura di paranoia”, strozzate da pesanti “catene di ossessioni” ?Persone che sicuramente esistono in numero non trascurabile.
Hai ragione. Leggendo i suoi libri traspare il suo amore per gli ammalati di mente e la sua preoccupazione per come andranno a finire dopo la chiusure delle stretture. Preoccupazioni che traevano origine anche dal fatto che spesso questi ammalati venivano dimenticati perfino dai più stretti parenti