Nato con la camicia
La nascita di un bambino poteva dar luogo a specifici rituali. Ad esempio se nasceva il figlio ad un cacciatore, i compagni di caccia del padre a Partigliano di Borgo a Mozzano ed in altri luoghi, si davano appuntamento davanti alla casa natale e facevano la ‘scoppietta’, cioè sparavano simultaneamente un colpo di fucile, che sarebbe stato ben augurante a che il bambino diventasse un buon cacciatore.
La nascita oltre a dar felicità, dava speranza. E quando il bambino ‘nasceva con la camicia’, la gioia per la famiglia era doppia. Per camicia si intendeva la membrana amniotica, una sorta di vernice biancastra che avvolgeva il neonato. Era così raro questo fatto che veniva considerato un segno di particolare protezione divina. Il bambino sarebbe stato sicuramente fortunato, perché la camicia era sostanzialmente la placenta e quindi, nella vita, avrebbe continuato ad essere protetto come nel ventre materno.
Bastava nascere con la camicia per sperare nella buona sorte? Da noi sì, mentre a Roma, ed anche in Abruzzo, se si voleva che la fortuna l’accompagnasse nel corso della vita, non avrebbe dovuto dismettere quella camicia neanche per un giorno. Così si toglieva con cura quel ‘velo’, lo si piegava bene, lo si riponeva in una borsettina da mettere al collo del bambino, come uno scapolare.
Oltre ad essere fortunato, al pari del ‘settimino’, il nato con la camicia possedeva anche particolari poteri come quello di essere un ‘guaritore’, una sorta di strego al quale ricorrevano le persone in difficoltà.
In Romagna, la levatrice che si trovava di fronte al parto di un bambino nato con la camicia, chiamava il padre per chiedergli quale tipo di malattia desiderava che suo figlio guarisse e lo invitava quindi a dirlo «ad alta ed intelligibile voce sopra il fanciullo…». Il padre di solito, era portato a gridare la malattia che in quel momento affliggeva uno dei componenti la famiglia e se per caso c’era il nonno a soffrire di “singhiozzo”, gridava : “singhiozzo!”, sciupando così la grande opportunità di guarire malattie ben più importanti.
Francisco Josè de Goya y Lucientes, La Famiglia di Carlo IV, 1800. Si conserva al Museo del Prado di Madrid