Perché si dice “vai a fare ciccia e ossi”?
I modi di dire non nascono per caso, ma sono sempre il frutto di usi e tradizioni che si tramandano per anni. Se io ad esempio dico, parlando di una persona: “quello è un tipo da ciccia e ossi”, intendo riferirmi a qualcuno, più che povero: ad un miserabile. Perché? E’ questo un modo di dire, tutto lucchese, preso a prestito da quel Carnevale che si usava da noi.
Eccone le origini nella descrizione di Idelfonso Nieri:
“… in Lucca dentro, e ne’ quattro sobborghi, c’è il costume la mattina del Giovedì Grasso che fino dalle prime ore, persone molte povere, bimbi, bimbe, ragazzetti, vecchi e vecchie, e molti anche difettosi in qualche parte del corpo, travestiti in maniere strane, con giubbe o giacchette alla rovescia con calzoni di forme e colori d’altri secoli … con baffacci alla turca … e tutti tinti nel muso di rosso e di nero o di bianco … picchiando in qualche tamburaccio scordato … o in una bombola da petrolio vuota, vanno per le vie della città e del sobborgo, e si fermano a uscio a uscio, specialmente alle botteghe di roba da mangiare. Non pronunziano verbo, ma s’intende che chiedono, e così prendono di tutto, e tutto buttano in una sportaccia che hanno sulle spalle: tozzi di pane, avanzi di cucina, rifreddi di tavola, cenci, tutto è buono … per passare un po’ meno peggio gli ultimi giorni del Carnevale, quando tanta gente gongola e trionfa in ogni bene di Dio”.
E come succede in tutte le questue, da che mondo è mondo, trovavi chi dava “ciccia”, ma anche chi dava soltanto “ossi”.
Tale questua a Tereglio era conosciuta come quella del ‘pan unto’, praticata dai ragazzi più poveri che, la sera del Giovedì Grasso, si recavano di casa in casa domandando un po’ di pane con un pezzetto di carne avanzato.
Ancora oggi si usa l’espressione “fare ciccia e ossi” nel significato di non disdegnare alcunché. Non si rifiuta nulla, per necessità, e non per scelta. E quindi se si vuol dare a qualcuno del ‘poveraccio o miserabile’, gli si dice: “ma va a fare ciccia e ossi!”.
Oggi non usa più fare il “ciccia e ossi” nel periodo di carnevale, ma resta questa espressione, che ci troviamo sulle labbra, che pronunciamo, spesso senza conoscerne l’origine. Ce lo dovremmo invece domandare sempre da cosa derivi una certa espressione che usiamo: sarebbe questo il modo di rinverdire le nostre conoscenze e conservare le tradizioni, che sono a fondamento della storia dei popoli.
Nel quadro di Esteban Bartolomeo Murillo, Bambini che mangiano un dolce (1670-1675). Si conserva presso Alte Pinakothek di Monaco.