Pio IX rapì un bambino in nome di Dio
Era il 23 giugno 1858, una sera come tutte le altre, a Bologna, in casa Mortara. Riuniti intorno ad una grande tavola, prendevano posto, oltre ai due genitori, Salomone Momolo e Marianna, otto ragazzini, i loro figli. Già dal nome del padre, si intuiva che era una famiglia ebrea, fortunata sotto certi aspetti, perché viveva a Bologna. Pur nello Stato Pontificio, non era soggetta a quei rigidi controlli che martoriavano la vita degli ebrei del ghetto romano, creato nel 1555 da papa Paolo IV Carafa.
Il ghetto romano era un “ammasso informe di case e tuguri” come lo descrisse Massimo D’Azeglio, e lì viveva la Comunità ebraica in uno stato di arretratezza e di profonda miseria.
Quella sera, inaspettatamente, si aprì con uno schianto la porta d’ingresso e si fecero avanti le guardie pontificie. Chiesero chi fosse il bambino Edgardo e senza dilungarsi a dare spiegazioni, lo prelevarono, lo caricarono su una carrozza e sparirono a grande velocità. Inutile furono le proteste e la corsa del padre dietro la carrozza per recuperare il bambino; inutili le grida della madre ed il pianto dei fratelli. Edgardo, di poco più di sei anni, era stato rapito e quando smise di piangere, ormai lontano da casa, chiese ai gendarmi: “E ora, mi taglierete la testa?”
Soltanto alcuni giorni dopo, i suoi genitori vennero a sapere il motivo. La giovane domestica Anna Morisi, all’insaputa dei genitori, aveva battezzato il bambino, in articulo mortis, a pochi giorni dalla nascita, temendo che stesse per morire e volendogli evitare di finire nel Limbo.
Il battesimo rendeva Edgardo cristiano e secondo le leggi dello Stato pontificio una famiglia ebraica non poteva allevare un cristiano e così le doveva essere sottratto ed allevato dalla Chiesa Cattolica, nel rispetto della legge di Dio.
La polizia agiva su ordine della Santa Inquisizione avallato da papa Pio IX.
Il bambino fu condotto a Roma ed alloggiato presso la Casa dei Catecumeni, istituzione nata allo scopo di ospitare gli ebrei convertiti al cattolicesimo, e che veniva mantenuta con i proventi delle tasse imposte alle sinagoghe dello Stato Pontificio.
I genitori con suppliche reiterate chiesero al Sommo Pontefice di riavere il figlio, ma rimasero inascoltate. Soltanto nell’ottobre successivo fu concesso loro una visita di pochi istanti, in presenza di suore e preti.
Il caso ebbe una eco internazionale e fece un grande scalpore. Non ci fu chi non condannasse questa prepotenza da parte del Papa, ai danni di una povera famiglia di ebrei. Addirittura ci fu chi auspicava un intervento armato dei Savoia nei confronti dello Stato Vaticano, che calpestava così platealmente i più elementari diritti umani nell’età del liberalismo e del razionalismo.
La stessa Comunità ebraica pregò Pio IX di restituire ai suoi, il piccolo Edgardo. La risposta del Pontefice fu sferzante: “traditori” e poi ancora “cani” come papa Mastai usava chiamare gli ebrei.
I familiari di Edgardo, affermano che il Vaticano offrì una certa cifra al padre del ragazzo affinché si industriasse a fermare lo scandalo suscitato dalla sottrazione del figlio, ma Momolo non ne volle sapere.
Soltanto il fratello Riccardo, bersagliere di Porta Pia, poté incontrare Edgardo, a Roma, ormai diciannovenne, ma lui disse di non voler tornare a casa, avendo abbracciato la nuova religione, e già avviato al sacerdozio. Mamma Marianna poté abbracciare il figlio, in un seminario francese, dopo venti anni dal rapimento. Il padre, era morto pochi mesi prima.
Edgardo divenne prete in Francia all’età di 23 anni. Fu inviato come missionario a Monaco di Baviera, Magonza, Breslavia e nel 1897 negli Stati Uniti, con il compito di convertire gli ebrei alla religione cattolica. Trascorse gli ultimi anni della sua vita in un monastero di Liegi dove morì nel 1940.
Il caso Mortara fece molto discutere e molti attribuirono il rifiuto di tornare a casa per abbracciare la religione cattolica, alle violenze ed ai “condizionamenti psicologici ricevuti durante la sua permanenza a Roma”, insomma, ad un vero e proprio lavaggio del cervello.
Daniele Scalise, autore del libro “Il caso Mortara”, in un articolo apparso sulla rivista Shalom presentava Pio IX in questi termini: “antisemita violento … era tutto meno che un ragazzo di sani principi, donnaiolo e giocatore…(poi) … indossato l’abito talare, abbandonò del tutto ogni promiscuità sessuale. Ciò che gli premeva al di sopra di ogni cosa era l’esercizio assoluto e indiscusso del potere”.
Giovanni Maria Mastai Ferretti aveva sofferto fino all’età di diciotto anni di terribili attacchi epilettici, a causa di una caduta a cinque anni, che gli aveva provocato un trauma cranico. Diceva di essere stato miracolato dalla Madonna e forse per questa forte devozione a Maria,
fu proclamato “beato” il 3 settembre 2000, da Papa Giovanni Paolo II e forse fu anche perché Edgardo Mortara, nel suo memoriale aveva scritto: “Non diffamate Pio IX, il mio santo rapitore”.
-Chiaro esempio di sindrome di Stoccolma – denunciano i suoi familiari – perché è noto che il ragazzino abbia sofferto per molto tempo, dopo il rapimento, di frequenti momenti di profonda angoscia.
Ci furono fortissime reazioni e proteste alla beatitudine di questo Papa, autore – scrissero gli ebrei d’America – del più “becero antisemitismo di matrice cattolica”.